Anche io: la recensione del film sul caso Weinstein e la nascita del MeToo

15 gennaio 2023
3.5 di 5
4

Film sul giornalismo virato al femminile, e intriso di sacrosanto femminismo, ma senza retoriche inutili, fervori polemici o piagnistei vittimisti. Preciso, misurato, dritto al punto. Recensione di Federico Gironi.

Anche io: la recensione del film sul caso Weinstein e la nascita del MeToo

Un film come questo non era facile. Anzi, direi che era difficile. Molto difficile.
Non tanto perché si tratta dell’ennesimo film sul giornalismo: genere solidissimo e (perlomeno da alcuni) amatissimo che comunque, da Tutti gli uomini del presidente in avanti, arrivando a casi recenti come Il caso Spotlight o, a modo suo, The Post di Steven Spielberg, sembra aver già detto tanto, tantissimo, sulle dinamiche e sulla professione.
Un film come Anche io era difficile perché quel #MeToo che viene citato nel titolo è un argomento ancora di scottante attualità, e tutt’ora al centro di un dibattito pubblico che vede alcuni commentatori - non solo maschili, anzi, c’è da dire - evidenziare come una rivendicazione sacrosanta abbia in alcuni casi portato a degenerazioni per cui si tende credere a scatola chiusa alla “vittima” autodichiaratasi tale e necessariamente mettere alla gogna e poi cancellare il presunto colpevole solo e soltanto sulla base di questioni di genere. Così come, sempre per fare alcuni esempi, le derive estreme del movimento siano diventate, a volte, delle scorciatoie per fare carriera.
Il punto, in ogni caso e checché se ne pensi, è che sarebbe stato facile per Maria Schrader girare un film non solo femminile e femminista, com’era giusto che fosse, ma anche carico di una militanza arrabbiata e per questo magari un po’ miope per la quale il nemico diventava il maschile tout court. Un film un po’ forcaiolo, magari, e per questo sbilanciato.
Invece.
Invece ecco che Anche io è un film che, proprio grazie alla sua compostezza - che è una compostezza narrativa ma anche formale - riesce a essere solidissimo da un punto di vista cinematografico e perfettamente a fuoco, e quindi efficacissimo, direi quasi letale, dal punto di vista politico.

La storia, lo sappiamo, è quella che ricostruisce l’indagine giornalistica delle reporter del New York Times Jodi Kantor e Megan Twohey (rispettivamente interpretate, qui, da Zoe Kazan e Carey Mulligan, entrambe molto brave) sui casi di abusi e violenza commessi da Harvey Weinstein nel corso di anni, e per altrettanti anni rimasti coperti da un silenzio fatto di omertà, vergogna, paura e complicità.
Ci sono due donne, quindi, per la prima volta al centro di un film sul giornalismo. Due donne che e faccia a faccia con un'indagine capace di scuotere i loro cuori e i loro cervelli molto da vicino, per ovvie ragioni, e che Schrader - con la complicità della sceneggiatrice Rebecca Lenkiewicz - racconta non solo senza tentazioni agiografiche o superdonnistiche, se mi passate il termine, ma anzi tratteggiando con poche e incisive pennellate una condizione femminile che è messa a dura prova non solo dalle circostanze del lavoro, ma anche da quelle piccole e grandi fatiche e problematiche quotidiane che ogni donna, e ogni uomo consapevole, conosce bene.

Se questo modo di raccontare le sue protagoniste, mettendone in evidenza tanto i meriti professionali quanto i lati umani, debolezze comprese, le rende efficacissime e coinvolgenti, allo stesso modo Anche io ha l’intelligenza di non fare mai del suo invisibile villain, di Harvey Weinstein, un orco che in qualche modo assume statura cinematografica, e che per questo diventa capace di flirtare con la perversa fascinazione che certe figure negative, negativissime, al cinema riescono ad avere.
Il Weinstein di questo film è semplicemente ciò che è stato: un uomo laido che ha approfittato del suo potere, del suo fisico e delle circostanze per commettere abusi e violenze che non andrebbero mai e poi mai commessi. Abusi e violenze che suscitano una indignazione forte e viscerale soprattutto grazie alla caparbia volontà di Schrader di non indulgere mai, nemmeno per un’istante, in una spettacolarizzazione che sarebbe diventata, in qualche modo, complice, se non altro inutilmente voyeuristica.
I drammi e gli orrori raccontati da Anche io sono affidati alle parole e alle ricostruzioni delle sue protagoniste (e di attrici come Samantha Morton e Jennifer Ehle, solo per citarne due), che al massimo, con grande suggestione cinematografica, sono accompagnate da immagini di corridoi e camere d’albergo vuote.

A tratti veramente potente, sempre coinvolgente, Anche io è un film di movimento e di parola, di orgoglio e rivendicazione, di giustizia e giornalismo.
Un film la cui misura, la cui precisione, la cui forza tranquilla, ha la capacità di smuovere le coscienze e le consapevolezze proprio come l’indagine che racconta è stata capace si smuovere l’immobilismo di un sistema corrotto e schifoso, e che è capace di suscitare un’indignazione assai più lucida e profonda di quelle isteriche e passeggere che le nevrosi internettiane o di un giornalismo anni luce lontano da quello di Kantor e Twohey, e di certo New York Times, sono non solo in grado ma, spesso e volentieri, vogliose di suscitare solo per il piacere dello scandalo, del clic a basso costo, del vedere aizzati gli istinti della folla senza che ci sia dietro una razionalità, una misura, un ragionamento.
Per questo, Anche io rappresenta un passo avanti notevole, e seriamente costruttivo, migliorativo direi anche, per le stesse istanze e per lo stesso movimento che racconta: che non sono solo femminili e femministe, ma dovrebbero riguardare tutti, per umanità e giustizia, indipendentemente dal genere di appartenenza.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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