Amsterdam: la recensione del film di David O. Russell

21 ottobre 2022
2.5 di 5

Una commedia mascherata da altro, che punta sul sicuro sui grandi temi dell'antirazzismo e dell'antifascismo. David O. Russell conferma il consueto approccio ludico e un po’ esibizionistico al cinema, che questo sia scrittura o messa in scena. Presentato alla Festa del Cinema di Roma e in sala dal 27 ottobre. Recensione di Federico Gironi.

Amsterdam: la recensione del film di David O. Russell

Per prima cosa uno potrebbe chiedersi perché questo film s’intitoli Amsterdam, anche se racconta una storia newyorchese, americana.
Per spiegarlo, basterebbe dire che c’entra una parentesi europea del racconto, un lungo flashback che riguarda gli anni della Prima Guerra Mondiale, e che spiega come e perché i personaggi di Christian Bale, John David Washington e Margot Robbie si siano conosciuti. E allora, vagamente, il significato di Amsterdam, in questo film, può ricordare un po’ il “we’ll always have Paris” di Casablanca.

Torniamo però a New York.
La New York del 1933, dove il medico stropicciato, malandato e vagamente tossico di Bale fa coppia con l’amico di una vita, l’avvocato nero di Washington, per indagare su una morte sospetta, e poi su un’altra ancora di cui loro due stessi finiscono per essere i sospettati.
Una vicenda intricata, complessa, tanti personaggi, che fa l’occhiolino al noir colorandolo però di sfumature diverse, facendolo incrociare con la Storia e puntando le sue chip sulle caselle sempre vincenti dell’antirazzismo, dell’antifascismo e della lotta di chi ha poco (o meno) contro coloro che hanno danaro e potere e perseguono solo l’interesse di pochi.
C’è l’attualità, quindi, e c’è il genere, e c’è il consueto approccio ludico e un po’ esibizionistico di David O. Russell al cinema, che questo sia scrittura o messa in scena.

Prima di tutto, prima di ogni cosa, Amsterdam è una commedia.
Per capirlo basta guardare il personaggio di Bale, che poi è il migliore di tutto il film, nonché il principale. Un reduce con occhio di vetro e busto, scarmigliato e disordinato tanto da ricordare il tenente Colombo, che prova su di sé strani farmaci non legalissimi e che gestisce un ambulatorio per reduci come lui.
Un personaggio strampalato, dentro una commedia mascherata da altro che flirta con il noir, gli intrighi del potere, del danaro, della politica, della storia.
Allora, siccome le analogie non mancano, e sono evidentim mi è capitato, guardando Amsterdam, di pensare insistentemente a Vizio di forma di Paul Thomas Anderson, e alla differenza che c’è tra un regista come lui e uno come Russell.
Tra uno che il cinema lo ama, e uno che al cinema ama fare il gigione.

Per carità, poi Amsterdam è anche divertente, al netto di lungaggini eccessive e di una voglia esplicita di essere ovvio, spiegato, dichiarato in ogni dettaglio e ogni intreccio e ogni intenzione.
Divertenti sono anche molti dei personaggi affidati a interpreti come Chris Rock, Matthias Schoenaerts, Michael Shannon, Mike Myers, Taylor Swift, Zoe Saldaña, Rami Malek e Robert De Niro, solo per citarne alcuni. Molti, non tutti.
Ma, ancora una volta, tutti questi nomi e questi ruoli servono solo al gioco di Russell, che è un gioco massimalista, facilone, che con molta probabilità diverte più il suo autore che lo spettatore.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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