Alza la testa, recensione del film diretto da Alessandro Angelini
Dopo il successo de L’aria salata, Alessandro Angelini ci riprova, torna dietro la macchina da presa e alza la mira dell’ambizione. Ma questa volta alzo e tiro avrebbero dovuto esser calibrati meglio, ed il centro del bersaglio rimane lontano.
Alza la testa - la recensione
Mero lavora in un cantiere navale di Fiumicino, ma la sua unica ragione di vita è il figlio 17enne Lorenzo, che da dieci anni allena con costanza per farlo diventare il campione di pugilato che lui non è mai stato. Vivono soli, la madre albanese di Lorenzo li ha abbandonati anni prima, ed è per questo che Mero cerca in tutti i modi di evitare che la donna riveda il figlio. Il loro rapporto esclusivo s’incrina quando Mero accetta che Lorenzo venga allenato da un altro e quando il ragazzo s’innamora di Ana, una coetanea romena: ché un pugile non deve esser distratto dalle donne, e Mero fa sì che lei non veda più il figlio, scatenando una lite con Lorenzo che avrà tragiche conseguenze e che porterà l’uomo in un viaggio al confine tra Italia e Slovenia dove cercherà di ritrovare sé stesso e il suo equilibrio.
Dopo L’aria salata, Alessandro Angelini torna alla regia raccontando un’altra storia incentrata sul rapporto tra un padre e suo figlio: ma la sobrietà e l’essenzialità di quel riuscito esordio cedono qui il passo ad ambizioni che - pur legittime - si traducono in una voglia di strafare che penalizza fortemente questo nuovo film.
In Alza la testa il regista romano conferma di saper girare bene e con personalità, e di dirigere bene i suoi attori, aiutato qui da un Sergio Castellitto che si fa vera e propria colonna portante del film, mettendo al servizio della storia tutta la sua innegabile bravura senza un briciolo di quel compiacimento e di quella gigioneria che aveva altrove di recente dimostrato. Ma è sul piano della storia, dei temi e dello sviluppo drammaturgico del film che Angelini compie in questo caso più di un passo falso.
Proprio come in Million Dollar Baby, la tragedia raccontata nel film segna uno spartiacque che lo divide in due parti nette e distinte: ma se nel capolavoro eastwoodiano esisteva comunque coerenza e continuità, dall’incidente di Lorenzo in poi Alza la testa si trasforma in un film che abbandona brutalmente inspiegabilmente moltissimi dei temi e delle linee narrative che nella prima parte sembravano centrali: dal rapporto di Mero con la madre di suo figlio alla sua disillusione e la sua frustrazione, passando per un argomento non certo banale e affrontato non senza interesse ma con disinvoltura come la convivenza con gli stranieri in una società oramai innegabilmente multietnica.
Dall’incidente di Lorenzo in poi, Angelini muta registro, e invece di approfondire quanto accennato fino a quel momento, procede per accumulazione e sovrapposizione di temi, storie e drammi, con modalità purtroppo retoriche e scontate, e senza avere la capacità di raccontare fino in fondo perfino questi “nuovi” interessi. E Alza la testa si trasforma allora nell’ennesimo film italiano che racconta dei soliti dolori e sofferenze, che parlando di tutto (dal ruolo di padre all’immigrazione clandestina passando per quanto citato e molto altro ancora) finisce col parlare di nulla.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival