Aline - La voce dell'amore: la recensione del film ispirato alla vita di Celine Dion
Valérie Lemercier rende omaggio a Celine Dion con un film da lei scritto, diretto e interpretato che è l'anti-biopic per eccellenza, il che non guasta.
La prima domanda che bisogna porsi dopo aver visto tutto d'un fiato Aline è se il film scritto, interpretato e diretto dalla sublime Valérie Lemercier, che ha forse le più belle gambe del cinema francese odierno, sia o meno un biopic, o se lo sia almeno in parte. La risposta è no: non si tratta assolutamente di un film biografico, ma, come leggiamo all'inizio, di un'opera ispirata dalla vita di Celine Dion, di un omaggio, indubbiamente, ma non un'agiografia, né di un'esaltazione o celebrazione di un mito. E infatti è di un'Aline che si parla, non di una Celine.
Aline - La voce dell'amore, che ha sconcertato più di un critico USA quando è stato presentato, rigorosamente fuori concorso, al Festival di Cannes, è piuttosto una rappresentazione popolare, un racconto, forse più adatto alle tavole del palcoscenico che a un set cinematografico, ma comunque destinato un pubblico "normale", ampio, universale. Grazie al suo ritmo veloce, il film ci trascina dentro a una storia che potrebbe narrarci una nonna o una mamma davanti al camino. Ora, il fatto che la nonna (o la mamma, o anche una zia) sia la Lemercier, che è un prodigio del cinema comico, spiega anche il carattere non naturalistico e mimetico del film. Non dimenticando che la leggiadra Dion sapeva anche intrattenere e divertire quando era ospite di una trasmissione televisiva, Valérie non solo le dà una giusta connotazione clownesca (quando serve), ma rende spiritoso anche il suo approccio al personaggio.
Aline Dieu, di cui iniziamo ad apprezzare le doti canore a 5 anni, ci tiene compagnia fino al 2016, cioè fino a quando vince la disperazione per la morte del marito rendendosi conto che the show must go on. Per tutto questo tempo, ha sempre il viso di Valérie Lemercier, che in post produzione ha voluto appiccicare il suo viso ( e il verbo non è casuale) al corpo di una bimba e di un'adolescente. L'effetto è straniante, non c’è che dire, se non addirittura mostruoso, ma rende l'operazione originale e buffa. Di questa prima parte di Aline si apprezza notevolmente la descrizione della numerosa famiglia della cantante, che parla con il cantilenante accento del Québec e che ha il suo leader indiscusso nella robusta matriarca Sylvette (Danielle Fichaud), che ricorda un po’ Robin Williams in Mrs. Doubtfire. Più attenta all’interiorità che non alle glorie di una vera e propria diva della canzone melodica arrivata fino all'Oscar, la regista la rende inoltre protagonista di un appassionato e colorato viaggio attraverso la cultura pop. Sembra proprio godersi lo spettacolo la Lemercier, mentre indugia nell’iconografia anni '80, epoca dell'aerobica di Jane Fonda, dei tagli di capelli scalati, dei body, delle cinture alte. E tuttavia nemmeno questa cavalcata attraverso la storia del costume e della cultura non alta, in cui il clan Dieu si confonde con la famiglia Bradford, è fine a se stessa, perché in primo piano c'è l'amore.
Come sanno anche i muri, Celine Dion ha sposato il suo manager René Angélil, di 26 anni più grande, e i due sono stati felici finché lui se n’è andato per via di un cancro. Nel film il personaggio, che si chiama Guy-Claude Kamar, è forse il più bello e complesso di tutti, è un uomo tenero e rispettoso, prima detestato da mamma Dieu e poi accettato come un individuo a metà fra il quindicesimo figlio e un lontano zio. La macchina da presa della Lemercier si ferma spesso a cogliere attimi di affettuosa intimità fra lui e la moglie, lasciando quasi completamente fuori le passerelle e i tabloid.
Ovviamente non mancano le esibizioni, i balli, le pose, i brani più celebri (cantati dalla francese Victoria Sio), ed è qui che Aline - La voce dell'amore mostra la sua indecisione. Non sapendo sempre che strada percorrere, forse perché gli manca il coraggio di osare ancora di più, il film è privo di un vero crescendo drammatico. Solo a tratti diventa riflessione sui sacrifici che una carriera artistica impone. A parte la voce, che rischia di essere irrimediabilmente guastata dal cioccolato, non ci sono veri e propri antagonisti per Aline. Ci sono le angosce, quelle sì, ma forse non bastano a mantenere alta la tensione in un film che ha il grande pregio di non essere un altro Bohemian Rhapsody e che sceglie fortunatamente di non soffermarsi sulla magrezza della cantante o sugli spasmi muscolari che oggi la costringono a rimandare i concerti.
Viene quindi da pensare che Valérie non abbia voluto né compiacere i fan della Dion, né rischiare l'impopolarità con una pedissequa imitazione della gestualità della cantante. A muoverla è stato, probabilmente, il desiderio di piacere solo a lei, alla sua amata Celine. Questo amore per la donna che ha cantato "And you're here in my heart. And my heart will go on and on" si vede in una delle scene finali del film, in cui Aline, che non ha mai lasciato il Caesar Palace di Las Vegas, cammina per le strade della città del gioco d'azzardo e si guarda intorno triste, sconsolata e sperduta. Si capisce che la regista vorrebbe stringerla a sé. In tal senso il film è un abbraccio: caldo, emozionato, e ogni tanto un po’ goffo.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali