AKA: la recensione del film d'azione in streaming su Netflix
Alban Lenoir e Eric Cantona sono i protagonisti di questo cupo e ruvido film d'azione che alla violenza esplicita mescola un sentimentalismo asciutto e silenzioso. La recensione di AKA di Federico Gironi.
Adam Franco è un duro. Durissimo. Un uomo arsenale, un’arma letale, un personaggio che pare sbucato da un passato, il passato del cinema d’azione, quando ancora tra colpi letali e raffiche sparate da armi tattiche non si era infiltrata alcuna forma di ironia, di leggerezza, di sdrammatizzazione.
Adam Franco è silenzioso: in tutto il film dirà sì e no tre parole in croce. Quello che ha da dire lo dice col corpo, con le azioni, coi fatti.
Adam Franco, come ci racconta il prologo che ce lo presenta, è anche spietato: crediamo si sia fatto catturare da dei guerriglieri in Africa per poi sterminarli per liberare la giornalista che avevano rapito, ma poi, a sorpresa, uccide pure lei.
Adam è spietato perché spietato è il sistema per cui lavora, che non è un’organizzazione criminale né un’azienda di mercenari, ma il governo francese. Meglio: i servizi segretissimi agli ordini del governo francese.
E difatti in AKA Adam, dopo quella missione lì del prologo, dal governo viene richiamato in Francia per catturare un terrorista in fuga prima che compia un attentato. E il modo più rapido per trovarlo sarà quello di infiltrarsi nella banda di un boss della mala, Victor Pastore, che del terrorista è un vecchio e caro amico, e che nel film è interpretato da Eric Cantona.
Poi certo, Adam è tutto quello che abbiamo detto, una maschera silenziosa e forse poco espressiva, ma volutamente, ma è anche un uomo, e come ogni uomo ha un tallone d’achille, o meglio un soft spot, come dicono gli anglosassoni, e quel soft spot, per ragioni personali che non andremo qui a rivelare per non compromettere il piacere della visione, ci sono i bambini. Bambini come il figlio di Pastore, ma poi non solo.
Adam Franco è Alban Lenoir, personaggio curioso, ex stuntman ma anche drammaturgo, attore in film ruvidi e d’azione (si è fatto conoscere con Un Français, film in cui era un nazi-skin che cerca di cambiare vita), ma anche di film d’autore come Gamberetti per tutti o Angel Face. Qui non è solo solidissimo e squadrato protagonista, ma anche co-sceneggiatore col regista Morgan S. Dalibert (con cui, sempre per Netflix, ha lavorato in Proiettile vagante e il suo sequel).
Lenoir il physique du rôle per fare l’eroe d’azione tosto e silenzioso ce l’ha tutto, e funziona bene; ma, come il suo personaggio, è anche un essere pensante, non solo un corpo utile a far fuori i nemici.
AKA quindi sì, certo, è un thriller d’azione capace di essere insolitamente brutale per il panorama medio dello streaming e del cinema in sala, dove non si va per il sottile e le morti, i colpi durissimi, gli schizzi di sangue (un po’ troppo da videogame, va detto) non mancano di certo.
E però AKA non è un videogioco. E ha anzi l’ambizione di raccontare una storia che è venata da un sentimentalismo asciutto e, per questo, efficace, e che è caratterizzata da un tono cupo e pessimista che sta lì a fare il paio con certe brutte realtà della vita di tutti i giorni.
A quello che è chiaramente un percorso di redenzione, la redenzione di Adam, AKA mette in parallelo la condanna di un sistema di potere privo di ogni scupolo né di riguardo per la giustizia e la vita umana. E il modo in cui lo fa, sebbene forse leggermente semplicistico, è anche inusualmente radicale.
Insomma. AKA funziona, Lenoir funziona, e in più c’è anche Cantona, insolitamente contenuto. Nel cast anche Sveva Alviti, e una giovane attrice da tenere d’occhio, Lucille Guillaume (nel ruolo della figlia maggiore di Pastore).
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival