A Gentle Creature: recensione del film di Sergei Loznitsa in concorso al Festival di Cannes 2017
Il viaggio di una donna nella Russia profonda diventa un incubo: anche per lo spettatore.
Era il 2010 quando Sergei Loznitsa esordiva nella regia di un film di finzione dopo tanti documentari. E già allora, già con quel My Joy, raccontava la devastante desolazione politica, civile e morale della Russia di oggi.
Sono passati sette anni, e le cose non devono essere migliorate, visto che il regista insiste su quei temi, e li declina in maniera ancora più spietata anche in questo nuovo A Gentle Creature.
La "creatura gentile" del titolo - che poi, più che gentile, è silenziosa e ingenua in un mondo rumoroso e spietato - è una donna che vive sola nella provincia rurale della Russia, e che per la prima volta parte per una città (ma non parliamo certo di una metropoli) per recarsi nel carcere dove è detenuto - ingiustamente, dice lei - suo marito.
Per questo viaggio è addirittura oggetto d'invidia da parte del donnone che le da lavoro in una scalcagnata stazione di servizio: "Vedrai finalmente, la città," le dice, "vedrai la gente".
E di gente, il film di Loznitsa, trabocca letteralmente, praticamente fin dalla prima scena ambientata in un ufficio postale, e dalla successiva in un bus. Quando poi la protagonista parte in treno per il suo viaggio, per un viaggio che sarà una drammatica e assurda Odissea, i volti, le voci, le grida, le canzoni, gli inganni e la vodka si moltiplicano.
E la creatura gentile, silenziosa e ingenua, rimbalzerà da un incontro all'altro, da un rischio all'altro, incontrando polizia gretta e violenta, approfittatori di ogni sorta, papponi, boss della malavita, stressatissime attiviste per i diritti civili.
Attraverso il viaggio della sua protagonista, Loznitsa fa un ritratto spietato della Russia odierna, di una Russia lontana dai centri del potere, della politica e delle oligarchie, una Russia profonda, provinciale e proletaria che dall'alto (o dall'assenza di un alto) ha visto ricadere su di sé e sulla sua esistenza una pioggia arroganza, violenza e corruzione, che ha bagnato un terreno fatto di antiche retoriche patriottiche e di un'ideologia crollata ma ancora immanente.
Il frutto di questo incontro è marcio e velenoso, e il regista non perde occasione per mostrarlo, stendendo su uno stile di regia che è ancora debitore dell'esperienza documentaria una patina spessa di grottesco che rende il viaggio della protagonista, e l'esperienza della visione, ancora più soffocante e sgradevole.
Certo, l'effetto è voluto, ma il gioco non vale la candela, la scomodità della visione non viene compensata da alcun premio narrativo.
Troppo insistito, troppo caricato, troppo ossessionato dal suo stile e da quello che racconta, trasformando in freak quasi tutti i suoi personaggi, A Gentle Creature diventa fastidioso e poco sopportabile.
E quando il parallelo con la fiaba, e l'ovvietà del viaggio che diventa un vero e proprio incubo, prendono davvero e realmente una forma onirica, che il regista non sa gestire e che è solo un pasticcio, ecco che quel poco di buono che il film aveva con sé viene definitivamente gettato alle ortiche.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival