7 Uomini a mollo: recensione della commedia corale di Gilles Lellouche fuori concorso a Cannes 2018
Tanti bravi attori per risate con un'anima.
I corridoi di una piscina comunale, in una cittadina di provincia ai piedi delle montagne, sono la cornice di una commedia che conferma la capacità del cinema francese di sfornare prodotti medi che soddisfino ogni tipo di pubblico. 7 Uomini a mollo (Le grand bain) è un feel good movie da manuale, che non scade nelle scorciatoie più facili che quel genere talvolta porta con sé. Gilles Lellouche esordisce alla regia in solitario con un film molto corale, come piace alla generazione di quarantenni d’oro del cinema francese che di Lellouche è compagna di ventura. Un gruppo di uomini variamente in crisi, che dimenticano le piccole e grandi sventure e mediocrità di ogni giorno ritrovandosi in una squadra di nuoto sincronizzato maschile.
Ovviamente l’inusualità della cosa non sfugge, così come la scarsa virilità presunta di uno sport tipicamente femminile, non proprio tagliato su misura per i diversamente eleganti e aggraziati corpi inflacciditi della depressa armata Brancaleone. I loro allenamenti serali sono vere terapie di gruppo: finiscono in sauna o in spogliatoio con qualcuno che regolarmente riesce ad aprirsi. Sono occasioni in cui il gruppo aiuta il singolo a non vergognarsi delle proprie fragilità. Le allena un’altra anima persa, un ex campionessa del nuoto sincronizzato ‘vero’, quello femminile, interpretata da una Virginie Efira che alterna distratte sedute di allenamento del suo ‘dream team’ con quelle degli alcolisti anonimi.
Quello che si apprezza nel film di Lellouche, qualità comiche evidenti a parte, è l’amore che prova per i suoi personaggi, la capacità di mettere in scena disperate solitudini molto contemporanee con affetto e l’ostinazione di non perdere la speranza che possano rialzarsi. Chi rendendo orgogliosa per una volta la figlia adolescente, chi riconquistando la moglie annoiata o superando la rabbia per una madre impietosa. Come spesso nella commedia francese sono chiari i riferimenti ai nostri classici del genere, cercando la risata amara eppure sempre rispettosa dei suoi personaggi, per marginale che possano essere. Come Toledano e Nakache, anche Lellouche riesce a riunire molti attori sempre ben scelti, anche per i ruoli minori, mettendoli al servizio di una commedia sociale e umanista, insistendo in questo caso sull’improbabile outsider che si ostina di sovvertire i pronostici. Rimangono però loro stessi: il percorso più importante è quello dell’accettazione reciproca di difetti e debolezze, e pazienza se non sono dei vincenti, nella vita o nel nuoto sincronizzato.
Queste considerazioni sulla profondità dei personaggi, che non solo figurine superficiali buone per far ridere con una battuta, non deve far dimenticare le qualità di verve comica di Le grand bain, divertente e a tratti esilarante, per meriti di scrittura e per la capacità dei suoi tanti fuoriclasse di essere efficaci anche per un tempo limitato, pur essendo abituati a ruoli da protagonisti. Meritano allora una citazione: Benoît Poelvoorde, venditore di piscine in montagna, Guillaume Canet, Mathieu Amalric, Virginie Efira, allenatrice buona e Leila Bekhti, allenatrice cattiva con frustino sempre in mano; per non parlare del rocker senza mai un successo, Jean-Hugues Anglade, che si ostina a credere nel suo talento, la sempre brava Marina Foïs e la sorpresa Philippe Katerine.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito