45 Years - la recensione del film britannico con Charlotte Rampling

07 febbraio 2015
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La vita di una coppia è sconvolta da una notizia che li riporta al passato.

45 Years - la recensione del film britannico con Charlotte Rampling

Il cinema inglese è unico nel suo tratteggiare l'amore senile. Mike Leigh con molti film, recentemente anche Roger Michell in Le Weekend, sono stati maestri nel raccontare storie di anziani, come l'amore si comporti posto di fronte alla dura prova del tempo, quando per definizione diventa più ricordo e bilancio che lancio verso l'ignoto. Ci riescono così bene anche grazie a una scuola di interpreti di straordinaria qualità, alimentata soprattutto dalla sempre vitale tradizione teatrale. Interessante che a raccontarlo sia anche un regista relativamente giovane come Andrew Haigh, già assistente montatore di film decisamente di diversa grana come il Gladiatore e Black Hawk Down.

45 Years è il racconto della settimana che precede il festeggiamento del 45° anniversario di matrimonio di una coppia della provincia inglese. La loro quieta routine, fatta di passeggiate col cane, dei prepararivi per il gran giorno e di qualche chiacchiera con gli amici viene sconvolta dall'arrivo di una lettera per il marito. Il corpo del suo primo amore, morto oltre cinquant'anni prima in un incidente di montagna, è stato ritrovato congelato e perfettamente conservato in un ghiacciaio svizzero.

I due, splendidamente interpretati da Charlotte Rampling e Tom Courtenay, iniziano a veder scricchiolare la loro armonia, il senso stesso della loro vita insieme sembra incrinato. Quel corpo così ben conservato sembra improvvisamente aver riportato alla luce, impietosamente, come lui non abbia mai superato quel rapporto, quel giorno fra le montagne, continuando a preservarne il ricordo nelle abitudini, nei gusti musicali, nei libri preferiti.

45 Years è un film sull'implacabile scorrere del tempo e dell'amore, come un enorme tronco d'albero in cui i cerchi degli anni arrivano ad esaurire lo spazio a disposizione saturando all'improvviso, senza preavviso, il ricordo di un amore che sembra imposto dalla cattiva sorte di qualcun altro.

Arrivati nel momento in cui dovrebbero semmai preoccuparsi per il retaggio da lasciare, senza figli, sono i piccoli non detti, rimasti in piena vista e poi sepolti dallo scorrere lento delle giornate, a creare il caos dove prima regnava l'ordine immutabile. Lo stratificarsi di un rapporto così lungo si percepisce nei volti segnati dall'età dei protagonisti, spesso ripresi in primi piani dal regista, in un gioco ripetuto di superfici su diversi piani di profondità, fra sfocature e dialoghi che perdono la rassicurante banalità e diventano confronti impietosi.

Haigh gestisce abilmente una tensione crescente, che non influisce però sul suo stile sempre controllato, ma si alimenta semmai attraverso piccoli gesti, una risposta meno pronta o la perdita del patto di fiducia su cui si era basato il loro amore.
Un inesorabile conto alla rovescia verso la festa d'anniversario in cui, davanti a tutte le persone importanti della loro vita, ci sarà la messa in scena pubblica del bilancio della loro vita insieme, del loro matrimonio. Sempre che si arrivi con un matrimonio ancora in piedi.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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