Gelsomina, una povera ragazza di paese, viene affidata a Zampanò, uno zingaro girovago. Lei è sensibile e sempre tesa a scoprire i misteriosi segreti della natura e delle cose. Lui, opaco e massiccio, terrestre e animalesco, si accorge appena di quello che vede e tocca. Fra i due, naturalmente, non è possibile nessuna comunione e Gelsomina ne soffre tanto da voler andar via. Ma un altro girovago, un funambolo chiamato "Il Matto", la convince anche del misterioso segreto della sua missione vicino a Zampanò. Tutto serve e tutti gli uomini servono a qualcosa - le dice il Matto - e lei "serve" restando vicino a Zampanò. Gelsomina capisce e rimane, ma un giorno Zampanò, che non era mai andato d'accordo con il Matto, viene alle mani con lui e, quasi senza volerlo, lo uccide. Gelsomina impazzisce dal dolore, perché il Matto, in un certo senso, era stato per lei la chiave di tutti quei misteriosi segreti che, prima di conoscerlo, essa aveva solo intuito nella natura. Di fronte a quella pazzia, Zampanò resta di sasso e non sa cosa fare. Il giorno, però, in cui si accorge che le frasi dissennate di Gelsomina sulla morte del Matto potrebbero condurlo in prigione, si decide ad abbandonare la donna mentre dorme. Qualche anno più tardi, all'improvviso, gli dicono che è morta e di fronte a quella morte Zampanò ha di colpo la rivelazione del significato di quella vita: l'animale si trasforma in un uomo cosciente.
"Eccellente nella partenza il film mantiene una precisa coerenza stilistica per un buon tratto, e precisamente fino al momento della prima separazione tra i due personaggi centrali, per assumere poi un tono sempre più artificioso e letterario, un andamento sempre più frammentario e incoerente, in uno scadimento sempre più evidente. Al dramma dell'incomunicabilità presiede secondo l'autore l'assoluto dominio che sulla strada hanno la follia, la violenza, la bestialità: in questo pessimismo chiuso e disperato si muove la prima parte del film raggiungendo spesso toni di alta emotività e in più di un tratto di assoluta purezza di stile. E' nella prima parte del film che i personaggi raggiungono una caratterizzazione intrisa di viva umanità e che il dramma si sviluppa con accenti chiusi e dolorosi in una narrazione tutta allusiva, di sorvegliatissimo ritmo e di sofferto lirismo". (Niro Ghelli, "Bianco e Nero", agosto 1954)"Quasi temerariamente, Fellini ha preferito le penombre là dove gli sarebbe stato agevole trovare contrasti più spiccati, illuminazioni più precise e gradevoli. Si tratta di un dramma romanticamente picaresco, che conteneva gli elementi delle narrazioni fortemente colorite; non basta dire che Fellini li ha evitati, per dargli lode". (Arturo Lanocita, "Corriere della Sera", 8 settembre 1954)"Penso sia ingiusto dire che Fellini ha costruito un film di evasione dalla realtà. Si potrà se mai discutere la natura dell'uomo Fellini, quella sua ben reale inclinazione alla creatura eccezionalmente "innocente", nel senso dostojewskiano". (Vittorio Bonicelli, "Il Tempo", 7 ottobre 1954)"Il fenomeno Fellini va ricollegato con tutto un modo di concepire e intendere l'arte, di assumere verso di essa e la vita un atteggiamento simile a quello della nostra letteratura d'anteguerra, e anche in parte e per molti versi, di quella contemporanea. In questo senso Fellini appare come un regista anacronistico, irretito com'è in problemi e dimensioni umane largamente superate". (Guido Aristarco, "Cinema Nuovo", 10 novembre 1954)"Non mi piace l'ambiguità del matto né il cattivo gusto della sua poesia: le sue ali di carta prese dall'angelo Heurtebisse creato un quarto di secolo fa da Cocteau, si ritrovano in altri dettagli letterari di 'La strada' e di 'Il bidone'... Rifiuto dunque una parte dell'arte di Fellini e del suo stile... Quali che siano le riserve su certi elementi di contenuto e più ancora di forma di 'La strada' o di 'Il bidone', secondo me questi due film non contrastano profondamente con il cinema italiano nella sua corrente più recente (il neorealismo), che d'altra parte non può essere risolta in una sola formula. I temperamenti e i mezzi di creazione variano a seconda dei singoli artisti. Una grande scuola nazionale può avere aspetti diversi, talvolta contrastanti tra di loro. Ma è possibile condannare senza appello Gogol in nome di Tolstoj?" (Georges Sadoul, in "Cinema nuovo" n. 71, novembre 1955)"Non mi piace l'ambiguità del matto né il cattivo gusto della sua poesia: le sue ali di carta prese dall'angelo Heurtebisse creato un quarto di secolo fa da Cocteau, si ritrovano in altri dettagli letterari di 'La strada' e di 'Il bidone'... Rifiuto dunque una parte dell'arte di Fellini e del suo stile... Quali che siano le riserve su certi elementi di contenuto e più ancora di forma di 'La strada' o di 'Il bidone', secondo me questi due film non contrastano profondamente con il cinema italiano nella sua corrente più recente (il neorealismo), che d'altra parte non può essere risolta in una sola formula. I temperamenti e i mezzi di creazione variano a seconda dei singoli artisti. Una grande scuola nazionale può avere aspetti diversi, talvolta contrastanti tra di loro. Ma è possibile condannare senza appello Gogol in nome di Tolstoj?" (Georges Sadoul, in "Cinema nuovo" n. 71, novembre 1955)"Ne 'La strada' il genere di poesia è diverso e multiforme.Qui, nel personaggio di Gelsomina, la poesia sembra scaturire da
- DIALOGHI DI ENNIO FLAIANO.- PREMI: LEONE D'ARGENTO ALLA MOSTRA DI VENEZIA DEL 1954 (EX-AEQUO INSIEME A "I SETTE SAMURAI" DI KUROSAWA, "SANSHO DAYU" DI MIZOGUCHI E "FRONTE DEL PORTO" DI KAZAN).- NASTRO D'ARGENTO 1955 PER IL MIGLIOR FILM E MIGLIOR REGIA.- PREMIO OSCAR PER IL MIGLIOR FILM STRANIERO (CHIAMATO COSI' QUELL'ANNO PER LA PRIMA VOLTA, PRIMA ERA SOLO UN OSCAR SPECIALE) E NOMINATION PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA.- PIUMA D'ORO AL FESTIVAL DI VIENNA 1956.
Attore | Ruolo |
---|---|
Anthony Quinn | Zampanò |
Giulietta Masina | Gelsomina |
Richard Basehart | Il Matto |
Aldo Silvani | Colombaio, detto signor Giraffa |
Marcella Rovere | La vedova |
Livia Venturini | La suora |
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