Kasia Smutniak, il passato con Pietro Taricone, il presente con Domenico Procacci, tra campagna e città
Kasia Smutniak ha ripercorso col Messaggero le due relazioni più importanti della sua vita: quella con Pietro Taricone, stroncata dalla morte di lui, e quella col produttore Domenico Procacci. Due amori, due vite in due contesti molto diversi.
Kasia Smutniak è in giro per l'Italia per promuovere il suo documentario Mur, esordio alla regia per raccontare i muri della sua Polonia: intervistata dal Messaggero ha ricostruito brevemente le sue due vite e i due luoghi in cui vive, legata prima allo scomparso Pietro Taricone e ora al produttore Domenico Procacci. Nelle sue parole c'è affetto ma anche consapevolezza della propria identità.
Kasia Smutniak: "Non so se sono la persona giusta per parlare di Roma"
Sarà perché con Mur è tornata a parlare della sua Polonia, ma Kasia Smutniak ha uno sguardo molto nitido sul concetto di appartenenza a un luogo. La sua relazione col produttore Domenico Procacci, iniziata nel 2011 e divenuta un matrimonio nel 2019 (hanno un figlio, Leone), l'ha portata a Roma, ma ammette: "Molto bello, ma la verità è che siamo venuti a stare qui solo perché è vicino all’ufficio di Domenico. Neppure mio marito appartiene a Roma. È di Bari. Poi stiamo benissimo qui: è come un piccolo borgo [parla del quartiere Coppedé, ndr]. Ogni quartiere in questa città diventa un paese, finisci per vivere in quattro strade. Sei di quel quartiere, non di Roma". Prima ancora c'è stata la casa di montagna comprata con Pietro Taricone, scomparso per un incidente nel 2010, padre di sua figlia Sophie: "Eravamo piccoli, Pietro ed io. [...] Eravamo molto felici. Abbiamo fatto un mutuo, siamo andati in campagna abbiamo preso gli animali, piantato gli alberi. Eravamo ragazzi, avevamo l’ingenuità di chi pensa di sapere che cos’è la vita. I nostri anni di luce. Poi quando Pietro non c’è stato più l’ho tenuta, la casa. È il passato, le radici, il presente, ora sono in pace, il futuro, gli alberi crescono. I figli se vorranno resteranno, lì avranno sempre un posto". La sostanza del discorso è in una semplice considerazione: "In verità non appartengo a nessun posto. Quando proprio devo dirlo, quando insistono, rispondo: sono di Varsavia".