Lolita, film diretto da Adrian Lyne, è ambientato nel 1947 in una piccola cittadina del New England e racconta la storia del professor Humbert (Jeremy Irons), un inglese giunto in America per insegnare letteratura francese nell'Università dell'Ohio. Alla ricerca di una stanza in cui alloggiare, l'uomo si imbatte nell'abitazione della vedova Charlotte (Melanie Griffith). Nonostante la casa non sia di suo gusto, Humbert decide di soggiornarvi, dopo aver intravisto in giardino la figlia quattordicenne della donna, Lolita (Dominique Swain). Rimasto affascinato dalla ragazza e dalla sua bellezza acerba, Humbert è pienamente attratto dalla giovane. Charlotte, dal canto suo, corteggia il professore, che, nonostante disprezzi la donna, decide di sposarla per restare accanto a Lolita.
Quando Charlotte muore, a causa di un incidente, Humbert e la ninfetta possono finalmente vivere il loro rapporto amoroso e, lasciata la città, si mettono in viaggio lungo le coste americane. Durante il tragitto i due vivranno momenti di alta tensione, a causa del controllo esercitato da Lolita sul suo amante e del carattere impetuoso dell'uomo.
Quando la ragazza decide di abbandonare Humbert per un altro, il professore disperato la ritroverà anni dopo sposata e con un figlio. Non riuscendo ad accettare di non essere stato l'amore della vita di Lolita, Humbert decide di pareggiare i conti con l'uomo che lo ha diviso dalla sua amata, morendo successivamente in preda ai rimorsi.
"Non c'è nulla di morboso, ma nemmeno di moralistico, in Nabokov e in Kubrick nel suggerire che, tra un uomo maturo e una ragazzina del tipo 'ninfetta', il più fragile, inerme e corruttibile è l'uomo. L'inglese Lyne fa non solo un film lascivo ma anche moralistico, sessuofobo, appunto, americano. Mentre James Mason, guidato da Kubrick, rende Humbert con una recitazione monocorde, cupa, tragica, Jeremy Irons ne fa una figura esagitata e lacrimevole, di un patetismo insopportabile. Far sbagliare un'interpretazione a un attore come Irons riesce soltanto ai registi come Lyne. Se la cava meglio l'esordiente Swain. Ma non è una ninfetta". (Morando Morandini, 'Il Giorno', 27 settembre 1997)"Scandali indecenti? Turbamenti morbosi? Pruriginosa pedofilia? Suvvia... Come in tutte le proverbiali ed edificanti storie sulle depravazioni, le dissolutezze e le impurità del sesso, anche stavolta Adrian Lyne realizza un film casto e morigerato, sostanzialmente privo degli elementari attributi dell'erotismo. (...) Misurarsi con Kubrick e Nabokov era, per il calligrafico Lyne, impresa superiore alle sue possibilità. L'implacabile censura puritana americana e l'infida ipocrisia delle cattive coscienze che, goffe e ignare, sbraitano contro pedofilia e oscenità, non c'entrano nulla con le modeste qualità, le lungaggini e l'impotenza creativa di questa versione del tutto antiafrodisiaca d'un romanzo che stanarono un'epoca di tabù e che ora ne riflettono un'altra, cinematograficamente, eticamente e sessualmente più farisaica e affettata". (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 27 settembre 1997)"Il film di Adrian Lyne, ben fotografato da William Atherton, accompagnato dalle malinconiche melodie di Ennio Morricone, ricostruisce con filologica cura l'America dei tardi anni '40 che Lolita e Humbert percorrono in lungo e in largo nella loro fuga dal mondo reale. Ma la vera qualità di un film senza particolari qualità, e l'unico punto su cui supera di netto la feroce e brillante Lolita di Kubrick e Dominique Swain: che è più alta del prescritto metro e quarantasette, ma è in compenso un sorprendente cocktail di infanzia e femminilità, di innocenza e di provocazione, più viva e mercuriale di quanto non sia mai stata l'icona Sue Lyon. La quale di anni ne aveva diciassette e succhiava lollipops. Dominique invece mangia banane, allusivamente. Di pruriginoso c'è poco di più. Di inquietante (e di controverso) resta l'idea-base di Lolita: che a tredici anni si possa essere una piccola seduttrice di adulti consenzienti". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 27 settembre 1997)
È il secondo adattamento cinematografico dell'omonimo best-seller scritto da Vladimir Nabokov; il primo è il cult movie diretto da Stanley Kubrick, Lolita (1962).
Jeremy Irons inizialmente era restio ad accettare il ruolo del professor Humbert, perché padre al tempo di figli adolescenti. Il regista Adrian Lyne, però, non vedeva bene nessun'altro per la parte e "corteggiò" Irons insistentemente, fino a quando l'attore non cedette e accettò.
Humbert (Jeremy Irons): Era Lo, nient'altro che Lo al mattino, dritta nel suo metro e mezzo e un calzino solo. Era Lola in pantaloni, era Dolly a scuola, era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti ma tra le mie braccia fu sempre… Lolita. Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi, mio peccato, mia anima. Lolita. Humbert: Agognavo un terrificante disastro, un terremoto, un’esplosione spettacolare. Sua madre istantaneamente eliminata insieme a ogni altro essere umano nel raggio di molte miglia. Lolita, tra le mie braccia. Humbert: Malgrado i nostri bisticci. Malgrado i suoi capricci, le sue smorfie, e il pericolo, e l’insensatezza di tutto quanto. Malgrado tutto, ero in paradiso. Un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno. Comunque, un paradiso. Humbert: La guardai. La guardai, ed ebbi la consapevolezza, chiara come quella di dover morire, di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare. Di lei, restava soltanto l’eco di foglie morte, della ninfetta che avevo conosciuto. Ma io l’amavo questa Lolita, pallida e contaminata, gravide del figlio di un altro. Poteva anche sbiadire e avvizzire, non m’importava. Anche così sarei impazzito di tenerezza alla sola vista del suo caro viso.
Attore | Ruolo |
---|---|
Jeremy Irons | Humbert Humbert |
Dominique Swain | Lolita |
Melanie Griffith | Charlotte Haze |
Suzanne Shepherd | Miss Pratt |
Frank Langella | Clare Quilty |
Keith Reddin | Reverendo Rigger |
Joan Glover | Miss Labone |
Ben Silverstone | Humbert Humbert Ragazzo |
Ed Grady | Dr. Melinik |
Erin J. Dean | Mona |
Pat Pierre Perkins | Louise |