Liberty Heights, film scritto e diretto da Barry Levinson, racconta la storia dei Kurtzman, una famiglia di origine ebraica che vive in un quartiere di Baltimora negli anni Cinquanta. Nate (Joe Mantegna), il padre, dirige un piccolo teatro di burlesque, mentre sua moglie Ada (Bebe Neuwirth) si occupa della casa e dei figli Van (Adrien Brody) e Ben (Ben Foster). In tutta la città si respira ancora aria di discriminazioni razziali, confermate dalla presenza ancora massiccia di cartelli di divieto d’ingresso agli ebrei e ai neri.
La dimostrazione che l’antisemitismo è ancora una piaga sociale arriva quando Ben si innamora di una sua compagna di classe afroamericana, Sylvia (Rebekah Johnson). Stesse problematiche, ma in un’ottica differente, deve affrontarle suo fratello Van, che inizia a frequentare una ragazza dell’alta borghesia. Riusciranno i due a superare le differenze di classe e il razzismo ancora così predominanti in quegli anni?
"Barry Levinson riesce a raccontare questa storia di ebrei puntando sui grandi cambiamenti che ci sono stati nella società americana. Evitando così in gran parte tutti gli stereotipi". ('Entertainment Weekly') "Liberty Heights è un romanzo di formazione da gustare nei dettagli più che nel disegno generale. (...) La cinepresa di Chris Doyle, che di solito, quando lavora con l'amico Wong Kar-Wai, è frenetica e volutamente impressionistica, qui disegna un bellissimo mondo colorato che, non fosse ebraico, sembrerebbe uscito dai pennarelli di Norman Rockwell. E una stupenda colonna sonora (qualche volta anacronistica) contribuisce ad arricchire la Levinsonland, offrendo agli spettatori una ragionata nostalgia per un tempo difficile e semplice". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 9 ottobre 2000)."America anni Cinquanta. Con le canzoni coinvolgenti di Sinatra, con i ritmi elettrici del jazz. Ma anche con l'altra sua faccia meno gradevole, il razzismo, persino nei confronti degli ebrei, e il rifiuto di qualsiasi integrazione. A tal segno che in uno dei circoli più eleganti di Baltimora un cartello vieta l'accesso agli "ebrei, ai cani e alla gente di colore". La segregazione è rispecchiata anche dalla topografia, così nel quartiere di Liberty Heights che dà il titolo al film, abitano solo famiglie ebree e il quartiere che si apre attorno alla Pennsylvania Avenue è riservato ai neri che i bianchi continuano a definire "negri", senza sfumature. Anche questi, però, tengono molto alle distanze, tanto che quando un ragazza di colore fa gli occhi dolci a un ragazzo bianco, i primi ad indignarsi, e con fermezza, sono proprio i genitori di lei. Il ragazzo bianco, però, Ben, è anche ebreo. Vive con la famiglia a Liberty Heights e la sua vicenda, insieme con quella di suo padre Nate, di sua madre Ada e di suo fratello Van, diventa presto il fulcro della storia in un certo senso corale che Barry Levinson, dopo i suoi grandi successi con Rain Man, con Bugsy e con Avalon, ha scritto e diretto ambientandola appunto a Baltimora, sua città natale, con echi forse anche autobiografici. Una storia perfetta. Proposta con una grande varietà di personaggi, ciascuno, però, anche quando le situazioni, alternandosi, intrecciano di continuo i loro casi, collocati sempre al posto giusto. Qua con la descrizione in interni della famiglia ebrea; là seguendone le vicissitudini sentimentali dei figli; in parallelo mettendo con finezza l'accento sulle famiglie non ebree, specie e in mezzo ai giovani, a scuola, alle feste; e con scorci rapidi, ma precisi, anche degli ambienti dei neri. Facendo emergere di continuo - da tutto e da tutti - un clima che la regia di Levinson, con maestria addirittura ispirata, ora fa vibrare di nostalgia, ora accetta che certi risentimenti lo increspino: seguendo da vicino uno schema narrativo che passa senza mai una frattura da una complicazione finanziaria di Nate, perfino con un sequestro di persona e un ricatto, agli amori ora paghi ora delusi dei suoi figli. E disponendovi attorno, con finezza, figure anche secondarie disegnate sempre a tutto tondo e chiamata ciascuna, come dei tasselli di un mosaico, a comporre un ritratto puntuale delle contraddizioni, delle passioni ed anche dei vizi antichi dell'America di quegli anni: studiata attraverso ben tre comunità di segno diverso. Un'operazione di memoria sorretta da un linguaggio che, ad ogni pagina, è stile. Vi contribuisce uno stuolo di interpreti, anche quelli con carismi minori, di forte intensità. Il padre è Joe Mantegna, i figli sono Adrien Brody e Ben Foster, la ragazzina di colore è Rebekah Johnson: una figurina preraffaellita. (Gian Luigi Rondi, La Rivista del Cinematografo on line, 6 ottobre 2000).
I film è ispirato all'infanzia del regista Barry Levinson, trascorsa a Baltimora. È l’ultimo della quadrilogia ambientata nella sua città natale, preceduto da A cena con gli amici (1982), Tin Men - 2 Imbroglioni con signora (1987) e Avalon (1990).
Attore | Ruolo |
---|---|
Adrien Brody | Van |
Ben Foster | Ben |
Orlando Jones | Piccolo Melvin |
Joe Mantegna | Nate |
Bebe Neuwirth | Ada |
Rebekah Johnson | Sylvia |
Justin Chambers | Trey |
Carolyn Murphy | Dubbie |
James Pickens Jr. | Padre Di Sylvia |
Frania Rubinek | Rose |
Kevin Sussman | Alan |
Gerry Rosenthal | Murray |
Charley Scalies | Louie |
Cloie Wyatt Taylor | Gail |
Vincent Guastaferro | Pete |
Richard Kline | Charlie |
David Krumholtz | Yussel |
Anthony Anderson | Scribbles |
Kiersten Warren | Annie |
Evan Neuman | Sheldon |
Shane West | Ted |