LA TRAMA DI LA LINGUA DEL SANTO
La lingua del santo, film diretto da Carlo Mazzacurati, racconta una storia ambientata in Veneto, precisamente a Padova. I protagonisti sono Willy (Fabrizio Bentivoglio) e Antonio (Antonio Albanese), due amici sulla quarantina, disoccupati e delusi dalla vita. Il primo è in preda alla depressione dopo aver perso il lavoro e la moglie Patrizia (Isabella Ferrari), mentre il secondo è un vecchio ex giocatore di rugby.
Per sbarcare il lunario, i due commettono dei piccoli furti in giro per la città. Una notte, mentre stanno rubando le offerte dei fedeli dentro la basilica di sant’Antonio, notano la presenza di una reliquia molto venerata dai padovani: si tratta della lingua del santo. Willy e Antonio realizzano di trovarsi di fronte all’occasione che potrebbe cambiare per sempre le loro vite e decidono di prendere l’oggetto sacro, per poi chiedere un ricco riscatto.
Il ‘rapimento’ attira l’attenzione dei giornali e dell’opinione pubblica. Tra i fedeli devoti al santo c’è chi è addirittura disposto a pagare il miliardo di lire per riavere la reliquia, ma i tentativi di scambio si rivelano piuttosto pericolosi per Willy e Antonio…
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RECENSIONE
"Già dalla locandina - che li ritrae in tuta ciclistica con caschetto in testa e sguardo un poco ebete stile Gianni e Pinotto - si capisce che La lingua del santo di Carlo Mazzacurati, con il fedelissimo Antonio Albanese e un Fabrizio Bentivoglio sempre più uguale a Giannini, segue la strada della commedia all'italiana raccontando di due poveri sfigati di provincia. Sceneggiato ad otto mani (lo stesso regista, un altro fedelissimo, Umberto Contarello, insieme a Franco Bernini e Marco Pettenello), il film è arrivato in Concorso come quarto rappresentante italiano per raccontare una storiella sciocca ambientata tra Padova, laguna veneziana, Colli Euganei e Tessera. Due falliti poveracci, Antonio, appassionato giocatore di rugby (stesso nome dell'attore e, guarda caso, anche del Santo padovano) e Willy, ex-commerciante introverso, un po' filosofo e in crisi perenne dopo l'abbandono della moglie, casualmente si ritrovano, per questioni di sopravvivenza spicciola, a praticare furtarelli di computer, francobolli e quarti di bue. Il colpo grosso arriva però del tutto inaspettato: nel corso di una notte trascorsa in attesa di scassinare una "bussola" (quelle casse di legno per le offerte) messa proprio nel mezzo della celeberrima Basilica padovana e durante la festa patronale, i due si ritrovano davanti al reliquiario tutto oro e gemme preziose che racchiude niente meno che la lingua di S. Antonio, il più amato di Padova, con profonde radici devozionali non soltanto in Triveneto, ma anche tra la gente di Portogallo e i Rom. Ovvio che il pasticcio crea conseguenze inaspettate, un chiasso di notevoli proporzioni, e, a partire da lì, una serie di situazioni poco coerenti ma funzionali allo sfruttamento del prezioso tesoro da parte dei due sventati ladruncoli, che tenteranno prima di fondere, vendere per poi passare alla più avventurosa strada del riscatto. Un'ora e più di film racconta dei loro maldestri tentativi e della messa a punto del piano criminale. Ci ritroviamo sui Colli Euganei nella villa del nuovo compagno della moglie di Willy (quest'ultimi, personaggi irrisori e poco accattivanti) con alcune battute argute, qualche bella risata, slabbrature notevoli di sceneggiatura, (dove finisce il sacco con la preziosa refurtiva dopo la prima telefonata dalla cabina telefonica?). E che più? Se le tirate sociologiche vogliono cogliere gli aspetti più stridenti del malessere veneto e delle sue pur evidenti contraddizioni (tra Lega e Chiesa, per intenderci), con Antonio e Willy depressi cronici tra rabbia, fame e rifiuti, Mazzacurati cade poi in alcune contraddizioni. Il Maritan (Giulio Brogi) che, arricchitosi tra maiali ed acqua santa, s'offre di pagare un miliardo per la "lingua" (facendo leva, in un irresistibile promo televisivo, sull'orgoglio e le nobili tradizioni del devoto e laborioso popolo veneto), diventa, in fondo, il modello cui s'ispira soprattutto Antonio. Il suo futuro, come il sacrificio dell'amico per assicurarglielo, è tanto improbabile quanto irritante: uno fuggirà verso nuova meta e nuova vita, l'altro si farà arrestare concludendo la narrazione del "fatto" (iniziata come un diario dell'anima) con una lunga impennata filosofica sui doveri, gli ideali, le responsabilità, le mete. Quanti dubbi. Ma il più "cinematografico" rimane questo: tra obiettori di coscienza, sistemi d'allarme che suonano all'impazzata, campanili che s'illuminano come in un Luna Park e campane che riuscirebbero a svegliare un morto, come si fa a rubare in una basilica (piena solo di rotweiler inferociti: in chiesa?), e andarsene lemme lemme senza incontrare, nei paraggi e in tutta Padova, un solo poliziotto, una sola anima viva? Qui siamo nel surreale: il Santo ci ponga rimedio. (Luca Pellegrini, Rivista del Cinematografo on line, 8 settembre 2000)
CURIOSITÀ SU LA LINGUA DEL SANTO
La storia si ispira a un reale fatto di cronaca, avvenuto nel 1991: il furto del mento di Sant'Antonio di Padova.
INTERPRETI E PERSONAGGI DI LA LINGUA DEL SANTO
PREMI E RICONOSCIMENTI PER LA LINGUA DEL SANTO
Nastri d'Argento - 2001
Ecco tutti i premi e nomination Nastri d'Argento 2001
- Candidatura migliore attore protagonista a Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio