A Monaco, nel '38, Camicie brune e filonazisti sono in spasmodica attesa: Hitler terrà un importante discorso in una delle birrerie cittadine. Ma George Elser non accetta il "nuovo ordine", anche se è solo un modesto orologiaio. Poichè ha deciso fermamente di attentare alla vita del dittatore, di giorno lavora in un cantiere (e qui sottrae impunito alcuni candelotti di dinamite), mentre di notte, nell'interrato-laboratorio in cui alloggia, comincia a fabbricare un marchingegno a tempo. Un amico, avverso lui pure al regime, gli procura bossoli e polvere da sparo. Per attuare il suo difficile piano, George frequenta la birreria, sempre gremita di bevitori con tanto di svastica sul braccio, fa un sacco di fotografie del locale e, di notte e sfidando cane e guardiano, scava una nicchia nel muro del piano superiore, press'appoco là dove Hitler parlerà per arringare i suoi fidi. Intanto conosce Anneliese - una delle kellerine - si innamora di lei ricambiato, non solo, ma anche con la certezza di un figlio, il quale dovrà nascere in Svizzera (anche i passaporti ha approntato il diligente orologiaio), dopo che una terrificante esplosione avrà liberato la Germania dal mostro. Pur suscitando sospetti, soprattutto nella padrona di casa (la signora Gruber, sua ex-amante) per la sua vita misteriosa che non gli consente quasi di dormire, George Elser arriva infine alla vigilia dell'attentato. Sfortunatamente, un alto ufficiale delle SS, Wagner, ha richiesto al padrone della birreria la partecipazione di Anneliese al rito imminente: ad un certo momento, la ragazza dovrà portare ad Hitler un bicchier d'acqua. Dietro suggerimento di George, Anneliese cede il suo compito ad una compagna, però deve ugualmente recarsi al lavoro nel locale. Sistemando l'ordigno, indossando all'uopo un'uniforme da Camicia bruna che è riuscito a procurarsi, la sera fatale Elser impone alla donna di partire immediatamente per la Svizzera. I due sono sul treno, ma ecco che alla frontiera tutti vengono fatti scendere: Wagner aveva notato qualcosa di poco chiaro in quello strano uomo dal doppio lavoro e, mentre per suo ordine la signora Gruber telefona alla birreria in cui il dittatore sta parlando e la fa evacuare (anche se salterà poi in aria, con morti e feriti, Hitler escluso), Wagner con una folle corsa in macchina raggiunge la frontiera e interroga l'orologiaio, che ammette tutto. Il treno viene fatto ripartire e Anneliese è in salvo con il nascituro, mentre Elser apprende che per soli sette minuti il capo nazista è riuscito a salvarsi la vita.
"Nel film non si pone nemmeno il problema etico che quell'attentato implica: se è lecita la morte violenta del tiranno, fin dove lo è quella degli altri che gli sono vicini? Importa fino a un certo punto che siano suoi complici; la possibilità della morte di innocenti non è affatto esclusa. C'è, infine, una riserva di carattere formale. Se si imposta un racconto (persino nel titolo originale) sulla nozione del tempo e della sua scadenza (il congegno a orologeria) al punto tale che l'attentato fallisce per una differenza di pochi minuti bisogna giocarle bene, le carte della suspense. Brandauer e il suo sceneggiatore non hanno saputo farlo tanto che il film non mostra né spiega il ritardo fatale di quei sette minuti." (Morando Morandini, 'Il Giorno', 17 Agosto 1991)"Lento e inesorabile, 'L 'orologiaio' si annulla nell'equivocità delle intenzioni: né ricostruzione d'epoca (soffocante e misera), né ritratto psicologico (ossessivo e di maniera), ne tanto meno thriller (privo di tensione e di ritmo). Piuttosto il film s'arrende fin da subito alle tetre necessità e uniformità della (piccola) coproduzione europea. Di Hitler si vede solo il dimenare delle braccia: come dimenticare, allora, il fugace sguardo che un fuhrer-fantoccio scambiò con l'eroico Indiana Jones nella ormai celebre sequenza de 'L'ultima crociata'?" (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 17 Settembre 1990)"Il film di Brandauer non è veramente un thriller, come promette il sottotitolo italiano (che veramente recita, con notevole volgarità, nazi-thriller): la concitazione ed il suspense salgono, relativamente, solo nelle ultime sequenze. E' invece un dignitoso film in costume su un episodio di storia tedesca, che fallisce, però, nel rendere la disperazione di un gesto coraggioso e isolato. Klaus Maria Brandauer regista si affida ad una fotografia molto sentimentale e d'atmosfera, ad alcune trovate (tutto ciò che si vede di Hitler è la mano tesa nel saluto nazista), e soprattutto a se stesso attore, qui assai sobrio e trattenuto. Ottimo, e assolutamente sottoutilizzato e Brian Dennehy nel ruolo di un capo di polizia che si adegua, ma con amaro disincanto." (Paola Cristalli, 'Il Resto del Carlino', 25 Agosto 1991)
TRATTO DAL ROMANZO DI STEPHEN SCHPPARD "THE ARTISAN"
Attore | Ruolo |
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Peter Andorai | Leibi |
Klaus Maria Brandauer | George Elser |
Brian Dannehy | Wagner |
Nigel Le Vaillant | Mayer |
Rebecca Miller | Anneliese |
Elisabeth Orth | Gruber |
Robert Easton | Hecht |
Vadim Glowna | Kaufman |