Salito sul trono d'Inghilterra nel 1413, dopo una giovinezza trascorsa nei bagordi insieme ad amici scapestrati, Enrico V, abbandonando le baldorie e i cattivi compagni, si dimostra subito un re saggio, deciso e moralmente rigoroso. Nel 1415, seguendo anche il consiglio della Chiesa, dichiara guerra al re Carlo VI di Francia, perché vuole rivendicare i propri diritti ereditari su quel regno, diritti che i Francesi non riconoscono a motivo della legge salica. Dopo aver fatto giustiziare tre suoi amici traditori, che si erano fatti corrompere per ucciderlo, Enrico parte e sbarca in Francia con un esercito poco numeroso, rispetto a quello nemico, ma che egli sa guidare con abilità, infondendo grande coraggio ai soldati, che lo amano e lo ammirano. Dopo aver assediato con successo la cittadina di Harfleur, Enrico dà alle truppe ordini inusuali per quei tempi, vietando di infierire sugli sconfitti con saccheggi e brutalità, pena la morte. E infatti fa impiccare un vecchio amico, colpevole di aver rubato una pisside in una chiesa. Poi, nonostante i suoi uomini siano ridotti di numero e stremati, accetta lo scontro con i Francesi, altezzosi e tanto più numerosi, i quali lo hanno addirittura invitato a pagare il proprio riscatto prima del combattimento, che egli affronta in condizioni tanto svantaggiose. Enrico, affidandosi a Dio, sa invece incitare al valore i suoi uomini sia col proprio esempio che con parole semplici e appassionate, cosicché la sanguinosa battaglia di Agincourt, che si svolge sotto una violenta pioggia, finisce inaspettatamente con una strepitosa vittoria degli Inglesi, che hanno pochissime perdite, mentre vengono uccisi 10.000 Francesi. Gran parte del successo è dovuto all'abilità degli arcieri inglesi, e alla presenza costante del re fra i combattenti, che lo vedono partecipare sempre coraggiosamente allo scontro, esponendosi ad ogni pericolo insieme ai suoi uomini. La battaglia termina con la resa dei Francesi. In seguito i due sovrani stipulano un trattato di pace, nel quale Carlo accetta tutte le richieste del vincitore, anche quella di essere nominato erede al trono di Francia, e gli concede in moglie la propria figlia Caterina, alla quale Enrico promette un amore fedele e sincero.
"Tecnicamente regista dalle molte qualità (l'illuminazione, l'uso coraggioso del primo piano e del ralenti), questo nuovo astro inglese fa volare il pensiero in alto a Welles, Polanski, Kurosawa, Bresson. Possiede quei momenti introspettivi così rari al cinema, come nel magnifico racconto della morte di Falstaff e nella scena del re la notte prima della battaglia: sa riprendere con la cinepresa le parole e indossa Shakespeare come nostro contemporaneo. Abbiate la pazienza di seguire questi 138 minuti di tragedia nazional popolare attaccata crudelmente alla terra, e scoprirete di che ambiguità è fatto il Potere. Branagh e con lui gli altri (gli ufficiali irlandesi, gallesi e scozzesi, e uno splendido Paul Scofield re di Francia), occupa lo schermo con il suo volto poco aulico. Guardatelo quando riceve in scherno le palle da tennis, quando incita alla guerra fra bagliori di corazze, quando fa le fusa alla principessa: è un attore che calamita l'attenzione, e anche noi lo incoroniamo per aver vinto una ardua battaglia di cinema." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 31 Marzo 1990)"Senza che il giovane Branagh possa esser paragonato a Welles e a Kurosawa. E' impetuoso, furioso, pieno di foga anche cinematografica, spesso però resta grezzo, cede ai ritmi del teatro, tenta emozioni che non di rado raggiunge con delle forzature, pur riuscendo, e qui forse meglio di Olivier, a farci sentire Shakespeare vicino, addirittura con sentimenti di oggi. Non ho nessuna riserva invece per Branagh come interprete, specie avendolo potuto ascoltare anche in versione originale: ha un viso senza glamour ma, nell'ottica stessa del film, intenso e deciso, quando deve soffrire lo fa anche nei visceri, quando grida sa trovare le note esatte per l'orrore, l'incitamento, la deplorazione, quando si tiene al privato (si veda il suo incontro con la promessa sposa) sfuma la mimica, cesella i toni, manovra sottilmente perfino l'ironia. Non so se diventerà un grande regista, certo è un grande attore." ('Il Tempo', 31 Marzo 1990)"Gli odiosi confronti paiono inevitabili per chi abbia visto l'altro 'Enrico V', film interpretato e diretto da Laurence Olivier nel 1944, con forti implicazioni di propaganda bellica nell'identificazione con un eroismo inglese storico. Le due opere sono talmente dissimili da risultare incomparabili: luminoso, solare, ispirato alla pittura di Paolo Uccello l' 'Enrico V' di Olivier immerso nei toni oscuri della pittura rembrandtiana quello di Branagh; nobile, solenne e glorioso il primo, inquieto, violento e forte il secondo; e anche i due attori non si somigliano affatto, nonostante gli sforzi ironico-minuziosi di Branagh per ripercorrere le tappe di Olivier e per definirsi promozionalmente suo erede." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 6 Aprile 1990)
- OSCAR 1989 PER I MIGLIORI COSTUMI- BAFTA PER LA MILIOR REGIA
LIBERAMENTE ISPIRATO ALL'OPERA TEATRALE OMONIMA DI WILLIAM SHAKESPEARE
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