Taxi Teheran, film documentario scritto, diretto e interpretato da Jafar Panahi, racconta le storie di tantissime donne e uomini che, a bordo di un taxi, attraversano le vie di Teheran. Al volante c’è il regista stesso che si cala perfettamente nel ruolo di finto tassista, ascoltando i passeggeri che condividono con lui un pezzo della loro vita. Al termine della corsa saluta e non chiede in alcun modo denaro. Tra i primi clienti c’è un uomo che è un convinto sostenitore della pena di morte; poi un commerciante di pellicole pirata; e ancora due donne molto superstiziose che stanno cercando di raggiungere una sorgente sacra per liberare i loro pesciolini rossi. Poi l’uomo va a prendere Hana, sua nipote, all’uscita da scuola. Lei sta progettando di girare un cortometraggio e chiede suggerimenti allo zio, dopo che la maestra le ha mostrato le regole fondamentali per girare un film in Iran.
Quando i due si fermano vicino una caffetteria, Panahi rivede un vecchio amico che non incontrava da molto tempo. E infine parlano con Nasrin Sotoudeh, legale che difende i diritti umani, che si sta occupando del caso di Ghoncheh Ghavami, prigioniera in sciopero della fame. E così il regista fotografa la capitale iraniana, evidenziandone luci e ombre.
È stato presentato in concorso al Festival di Berlino nel 2015, dove ha vinto l'Orso d'oro come Miglior film e il Premio FIPRESCI.
Ha ricevuto una candidatura ai Premi César nel 2016.
A Jafar Panahi è stato vietato di girare film e rilasciare interviste per vent’anni, pena sei anni di reclusione.
Poiché il regista non era legalmente autorizzato a lasciare l'Iran per partecipare al Festival di Berlino, sua nipote Hana Saeidi (che appare nel film) ha ritirato il premio a suo nome.
Attore | Ruolo |
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Jafar Panahi | se stesso |
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