Paradise Now, film drammatico diretto da Hany Abu-Assad, vede protagonisti Said (Kais Nashif) e Khaled (Ali Suliman), due amici palestinesi che sono stati arruolati per degli attacchi terroristici a Tel Aviv. Così trascorrono gli ultimi giorni di vita insieme prima di suicidarsi facendosi esplodere. Il tempo per loro passa senza grande motivazione, in attesa di conoscere quando arriverà davvero la fine, fino a quando il capo del gruppo di resistenza gli dice che l’attentato avverrà il giorno seguente. Cominciano così a registrare dei filmati elogiando Dio, motivando la loro scelta e infine salutando i propri cari. La mattina dopo gli impongono di tagliarsi capelli e barba per sembrare israeliani. Poi si infilano la cintura esplosiva e gli viene spiegato come farsi saltare in aria, attendendo circa una ventina di minuti tra una esplosione e l'altra per ammazzare i poliziotti che arriveranno sul posto dopo la prima bomba esplosa.
Quando i due arrivano al confine vengono però fermati dalle guardie. Se Khaled torna subito dal suo gruppo, Said comincia a girare per i villaggi, inseguito sia dai suoi compagni, sia dagli israeliani. A un certo punto l'uomo pensa anche di farsi esplodere su un autobus, ma poi rinuncia quando si accorge che c'è a bordo un bambino. Qualcosa in lui cambia quando incontra Suha (Lubna Azabal), una donna della quale si innamora… Cosa deciderà di fare alla fine?
"Difficile trovare soggetto più incandescente di quello affrontato da 'Paradise Now', del palestinese Hany Abu-Assad. Al cinema è sempre questione di distanza e con i martiri di Allah è facile scivolare nell'ironia facile, nel ricatto socio-politico o nel dibattito sceneggiato. (...) Intanto scopriamo che nei videostore si affittano cassette con i proclami dei martiri, ma anche le ultime parole dei traditori (più richieste, dunque più care...). Entriamo nella quotidianità assurda delle famiglie palestinesi e degli attentatori. Insomma ci affacciamo sopra un abisso vertiginoso. Magari un film solo non basta a sondarlo. Ma l'essenziale era cominciare." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 15 febbraio 2005)"Più apertamente politico è 'Paradise Now' del palestinese emigrato Hany Abu-Assad, che ha il fegato di affrontare il retroterra privato di due amici d'infanzia prescelti per immolarsi come kamikaze. Prima d'imbottirsi d'esplosivo e valicare la frontiera con destinazione Tel Aviv, Khaled e Said trascorrono con i familiari inconsapevoli quella che dovrebbe essere l'ultima sera della loro vita: è il momento migliore del film, grazie al ben imbastito contrasto tra la toccante normalità dei rapporti quotidiani e il tormento segreto di una scelta estrema in parte voluta in parte subita. Poi il racconto s'inaridisce e, al di là degli astuti colpi di scena, il manicheismo cacciato dalla porta cinematografica rientra dalla finestra dell'ideologia." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 15 febbraio 2005)PARADISE NOW "Nella filmografia sul Medio Oriente ecco un eccezionale film palestinese di Hany Abu-Assad girato prima dello sgombero dei coloni. La liberazione che ci porterà al paradiso del titolo da 'Living Theatre' è nel sacrificio della vita dei kamikaze, mistica e follia. Il film segue quasi in tempo reale le ultime ore di due di loro che diventano strumenti di morte: la preparazione, il segreto, la purificazione. L'autore cerca di mantenere perfino un filo di ironia, spiega più che giustificare, apre la porta di un territorio dove il confine tra vita e morte è labile, come quello tra finzione e documento. La storia prende alla gola, allo stomaco, al cuore, al cervello. E' difficile rimanere insensibili anche di fronte a un atto criminale e politicamente controproducente: ci interessano i dubbi e i pensieri di due giovani impossibilitati ad essere normali." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 14 ottobre 2005)"Appartiene a quel ristretto numero dei film, 'Paradise Now' di Hany Abu-Assad, dove riesce difficile concentrarsi sulla forma linguistica: tanta è la forza con cui situazioni mai viste su uno schermo afferrano la tua attenzione, senza permetterle di allentarsi fino all'ultima immagine. Detto in poche righe, il soggetto è insufficiente a far capire la grande novità della prospettiva adottata dal regista palestinese. (...) La novità non è rappresentata tanto dai contenuti, quanto piuttosto da una macchina da presa piazzata 'all'interno' del terrorismo palestinese, con l'effetto di mostrarci come persone in carne e ossa e sentimenti coloro che ci fa comodo percepire solo come minacciose astrazioni." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 15 ottobre 2005)
Il film ha vinto un Golden Globe come Miglior film straniero e ottenuto una nomination ai Premi Oscar (2006).
Attore | Ruolo |
---|---|
Kais Nashef | Saïd |
Ali Suleiman | Khaled |
Lubna Azabal | Suha |
Amer Hlehel | Jamal |
Ashraf Barhoum | Abu-Karem |
Mohammad Bustami | Abu-Salim |
Hiam Abbass | Madre di Saïd |
Olivier Meidinger | Abu-Shabaab |
Nour Abd El-Hadi | Sorella di Saïd |
Amjad Al-Imlah | Fratello di Saïd |
Dina Titi | Sorella di Khaled |
Yosef Abo Dheir | Padre di Khaled |
Hana Sha'alan | Madre Di Khaled |
Mohammad Kosa | Fotografo |
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