Il film getta uno sguardo compromettente e controverso sulle patologie della violenza e della paura in America, uno dei Paesi con il più alto tasso di omicidi con armi da fuoco nel mondo, dove il numero di pistole supera il numero di televisioni in possesso e il numero di elettori.
"Il documentario comunica, con ironia e indignazione, tutta la follia e tutto il dolore che pervadono il Paese che nella Costituzione proclama il diritto alla felicità: in cui di ogni delitto sono incolpati neri che del resto, quando nacque la National Rifle Association, la lobby delle armi da fuoco, non potevano possederne. (...) Moore si domanda perché il suo Paese è così violento: non perché è armato, lo è anche il pacifico Canada, non perché c'è violenza nei suoi film, visti in tutto il mondo, ma forse perché gli americani vivono nel terrore di essere sterminati, sin dai tempi dei Padri Pellegrini: e si difendono sterminando". (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 17 maggio 2002) "Brioso e a tratti comico, 'Bowling for Columbine' ha ricevuto dalla critica un'ovazione in larga parte di matrice ideologica, ma è comunque buon cinema." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 17 maggio 2002)"Michael Moore è l'unico cineasta al mondo che può permettersi di fare un documentario e vederlo uscire nelle sale, premiare ai festival e tirar su dei soldi. E' ironico, informatico, fa critica sociale (...) Sullo sfondo della strage al liceo Colombine in Colorado ricordando il bambino di sei anni che uccise la compagna di scuola, Moore ci accompagna nel tunnel della diffusione, proprietà e uso delle armi negli Stati Uniti (..) Moore si chiede perché l'America ha avuto e ha sempre tanta paura di se stessa". (Silvio Danese, 'La Nazione', 25 ottobre 2002)"Michael Moore, americano del Michigan, 48 anni, fondatore e direttore di giornali alternativi, scrittore, realizzatore di serial televisivi tra i quali 'Miami Vice', già autore di 'Roger & Me', documentario contro la General Motors, e di 'The Big One' contro le multinazionali, è un cine-idolo dell'estrema sinistra americana. Grasso, malconcio, indomito, demagogico, spiritoso, accumula cifre, episodi, testimonianze, analogie, contraddizioni, affronta la sua materia con implacabile coraggio. Le connessioni tra Storia e presente, tra fatti diversi, non sono quelle ordinate e settoriali delle documentazioni televisive, giornalistiche: sono i legami emotivi dell'ansietà politica, sono i grovigli di realtà, sospetto, certezze, diffidenza e sdegno d´una visione non mutilata, umanistica, dei nostri giorni difficili. Da quarantasei anni, dal 1956 de 'Il mondo del silenzio' di Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle, il festival di Cannes non metteva in concorso un documentario: lo ha fatto nel 2002 con 'Bowling a Columbine', e ha fatto benissimo". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 18 ottobre 2002)"La maggioranza silenziosa ma armata americana, che tiene la 44 Magnum sotto il cuscino e si riconosce nell'arteriosclerotico Ben Hur con dentiera Charlton Heston, è la protagonista di questo straordinario, ironico, disperato documento del grande 'no global' Michael Moore, premiato a Cannes. 'Bowling a Columbine' traccia uno spietato identikit degli States, e le stragi collegate, che oggi, con la guerra in vista, è più attuale che mai. Tra cronaca e storia, virando necessariamente nel grottesco naturale, il regista 'extra large' guarda negli occhi la lobby delle armi, racconta delle banche che offrono in omaggio la carabina, dall'infuocato Michigan fa una puntata nel pacifico Canada, che ha finanziato il progetto, e mette sul banco degli imputati violenza e razzismo; e accusa i media di travolgere e stravolgere la realtà. Da vedere: i riferimenti sono ottimi e abbondanti, tutti sono giustizieri della notte". (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 ottobre 2002)"Michael Moore non è mai stato tanto attuale: rivedere il suo vecchio 'Roger & Me' sarebbe il miglior modo per documentarsi sulle "brillanti" strategie industriali della General Motors, andare al cinema a vedere 'Bowling a Columbine' sarà utilissimo per capire dove nasca l'irrefrenabile desiderio degli Usa di menar le mani in Irak o in altre parti del mondo. (...) Come sempre, Moore dice cose estremamente serie con stile graffiante, veloce, qua
- PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA AL FESTIVAL DI CANNES 2002.- PREMIO OSCAR 2003 PER MIGLIOR FILM DOCUMENTARIO.
Attore | Ruolo |
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John Nichols | Se stesso |
Michael Moore | Se stesso |
George W. Bush | Se stesso |
Dick Clark | Se stesso |
Charlton Heston | Se stesso |
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