M. e la costruzione di una dittatura: Joe Wright e Stefano Bises raccontano la serie su Mussolini
Inizieranno fra qualche settimana per sei mesi le riprese di M. Il figlio del secolo adattamento del romanzo vincitore del premio Strega di Antonio Scurati. Ne hanno parlato il regista Joe Wright e gli sceneggiatori,
Otto episodi, sei mesi di riprese, una serie che ha il sapore di un film di otto ore. Così viene anticipata M. Il figlio del secolo, adattamento del romanzo di Antonio Scurati vincitore dello Strega, bestseller da 600 mila copie in 46 paesi. Prodotta da Sky Studios e da Lorenzo Mieli per The Apartment Pictures, società del gruppo Fremantle, in collaborazione con Pathé, è scritta da Stefano Bises (Gomorra – La Serie, The New Pope) e Davide Serino (Il re, Esterno notte) e sarà diretta a partire da metà novembre da Joe Wright.
Gli autori ne hanno parlato in un incontro con il pubblico organizzato in occasione della Festa del Cinema di Roma, in cui hanno anche annunciato che sarà Luca Marinelli a interpretare il Benito Mussolini “giovane”, degli anni fra il 1919, con la costituzione dei Fasci di combattimento, e il 1925, con il pieno consolidamento del regime fascista e il discorso in parlamento successivo all'omicidio di Giacomo Matteotti.
Una sfida davvero avventurosa per Wright, girando in italiano, lingua che non conosce. Il regista britannico aveva già raccontato il periodo cruciale del Novecento in Espiazione, indirettamente, e più specificamente ne L’ora più buia, uno dei suoi film migliori. Ha visto la serie di Gomorra (“una settimana in hotel a new York mentre promuovevo un film dimostratosi un totale flop”) e si è detto che avrebbe voluto lavorare con quello sceneggiatore, Stefano Bises, ha detto. “Non parlo la lingua, ma mi fido di loro, degli sceneggiatori, poi ho un gruppo di collaboratori che mi traduce esattamente ogni cosa. All’inizio non ero sicuro, poi mi sono ricordato delle parole di Danny Boyle, che commentando le riprese in hindi di buona parte di The Millionaire mi aveva detto che era stata un’esperienza liberatoria. Ho scoperto poi la questione dei dialetti, simile a quello che accade nella mia Gran Bretagna, dove uno di Liverpool non si capisce con uno di Manchester, nonostante distino poche decine di chilometri. Ogni personaggio parlerà la lingua di dove è cresciuto. In quegli anni, poi, l’Italia era molto giovane, così come il patriottismo”.
Dalla nascita del fascismo al momento in cui Mussolini ha la piena consapevolezza di avere il paese in mano, nel 1925. “Il racconto della costruzione di una dittatura”, così sintetizza M. Il figlio del secolo Stefano Bises. “Una storia fatta di ascese e cadute, di momenti in cui ci si sarebbe potuti sbarazzare di Mussolini, non avendolo fatto per una sottovalutazione della sua pericolosità, per non aver capito come lui che si viveva la fine di un’epoca, con un’altra pronta a irrompere. Nello sfrondare le 800 pagine del libro abbiamo tolto gli elementi che non servivano a questo tipo di racconto, con al centro la tensione fra le due anime fondanti del fascismo, cavalcando e ripudiando la violenza a momenti alterni. Come ogni dittatore voleva essere amato e soffriva a suo modo per dover imporre il suo potere con la violenza. Un altro elemento cruciale, particolarmente caro a Joe, sarà un certo tipo di mascolinità”.
Un Wright che sottolinea come solo essendo “molto specifico riesci a essere universale. Il pubblico è intelligente e se c’è connessione comprende quello che racconti. Sono sempre stato affascinante dalla prima metà del XX secolo. M. è un ulteriore momento di apprendimento dopo L’ora più buia. Devo ancora iniziare le riprese, permetto ai film di rivelarsi a me, di dirmi cosa vogliono essere. Non provo a imporre la mia visione. C’è qualcosa però legata alla mascolinità di Mussolini, alla sua volontà di imporla agli altri, che mi fa riflettere sul mio essere maschio. Un personaggio carismatico, ma con al centro un vuoto. Quello che so è che non voglio creare una caricatura, ma un’incarnazione, utilizzando un trucco prostatico, sicuramente cambiando come appare l’attore ma senza perderlo, avvicinandolo al personaggio mantenendo la possibilità da parte del pubblico di accedere alla performance. Come ho fatto ne L’era più buia.