Il promettente 2014 di HBO
Scopriamo le prossime novità della rete via cavo che le altre reti via cavo hanno imparato a imitare.
In uno dei suoi precedenti slogan più famosi HBO sosteneva di essere qualcosa di più di una rete televisiva. Un concetto sorretto nel corso degli anni da produzioni di enorme successo quali I Soprano, Sex and the City, Six Feet Under e The Wire, cui si sono aggiunte miniserie pluripremiate come Angels in America, Band of Brothers, John Adams e Mildred Pierce, oltre a tanti film tv. Stiamo parlando però di un tempo passato. È innegabile che, fatta qualche dovuta eccezione, nelle stagioni più recenti, soprattutto prima dell’ultimo triennio, quel “It’s not TV. It’s HBO” non abbia funzionato altrettanto bene. Molte idee sono state riposte nel cassetto dopo una manciata appena di episodi (Bored to Death, Flight of the Conchords, How to Make It in America, John from Cincinnati, Tell Me You Love Me e The Comeback sono solo alcune), e mentre la concorrenza (Showtime e Starz su tutte) imparava a imitare piuttosto bene un modello vincente, una HBO in evidente difficoltà creativa si “rimboccava le maniche” per invertire una tendenza fortemente preoccupante, specie per un network che era stato capace di ritagliarsi un posto importante nella cultura pop e che, clamorosamente, aveva scartato una serie – Mad Men – la quale su AMC stava vincendo un Emmy dopo l’altro come miglior drama. I primi passi nella direzione giusta HBO li ha compiuti con True Blood, Il Trono di Spade e Girls, serie le quali, pur non rientrando nei gusti della maggior parte dei telespettatori e non essendo del tutto originali come erano stati i loro avi, sono riuscite ad accrescere l’interesse attorno a una realtà televisiva che, ora, si prepara a vivere probabilmente il suo anno migliore, quello della ripresa definitiva.
Sono numerose le novità promettenti – del tipo “Shut Up and Take My Money”, giacché parliamo di una pay tv – che HBO lancerà in questo 2014. La prima in ordine di tempo, True Detective, ha fatto parlare di sé principalmente per il coinvolgimento di due star più familiari al linguaggio cinematografico. Parliamo di Woody Harrelson e Matthew McConaughey, i quali – dal 12 gennaio per otto settimane – vestono i panni di due poliziotti molto diversi: un padre di famiglia con alcuni scheletri nell’armadio (Harrelson) e un tipo solitario e cupamente pessimista (McConaughey). I due, partner di lunga data, danno la caccia a un misterioso serial killer tra i paesaggi remoti della Louisiana. Un percorso che, come accade spesso, minaccia di danneggiare entrambi, in modo potenzialmente irreversibile non essendo previsto, almeno per ora, un loro ritorno in un’eventuale seconda stagione. Infatti, ammesso abbia successo, ed è difficile pensare il contrario, i produttori immaginano True Detective come una serie antologica. “Potrebbe esserci una stagione incentrata su una grande cospirazione, una stagione su un omicidio in una piccola città, un’altra in cui nessuno muore e un maestro del crimine rivaleggia con un detective altrettanto abile”, fantastica il produttore esecutivo Nic Pizzolatto.
Pochi giorni dopo True Detective, il 19, HBO farà l’occhiolino alla comunità LGBT con Looking, che il produttore esecutivo e sceneggiatore Andrew Haigh si affretta a distinguere da Queer as Folk, ovvero la serie di Showtime che meglio è riuscita a raffigurare la realtà di un gruppo di amici gay. Haigh – di cui dovreste vedere assolutamente Weekend (2011) se non lo avete già fatto – spiega che il soggetto di Looking è l’unica similitudine con QAF. Per il resto è un’altra serie. “È ambientata in un altro momento, ovviamente”, dice riferendosi al recente ribaltamento della Proposition 8, che impediva il matrimonio tra persone dello stesso sesso nello stato della California. “Ha un diverso timbro, ed è molto diversa stilisticamente”. La storia ruota attorno a un gruppo di over 30 gay in cerca dell’amore a San Francisco. Jonathan Groff (Glee) è Patrick, un programmatore di successo la cui amicizia sincera con Agustín (Frankie J. Alvarez) e Kevin (Russell Tovey, Being Human) lo guida attraverso la ricerca di un posto nel mondo e nel cuore di qualcuno. “Abbiamo l’occasione di fare uno show a San Francisco come mai è stato fatto prima”, continua Haigh. Perché, nonostante il rapporto della città con la comunità gay, “non ho mai visto sullo schermo la San Francisco che conosco”, inclusi i suoi “spigoli”. “Fare coming out non è il loro grande problema”, aggiunge Groff riferendosi ai personaggi, cui si aggiunge un Murray Bartlett in apparente stato di grazia.
Looking non sarà l’unica produzione gay-friendly di HBO quant’anno. Il network sta preparando per maggio The Normal Heart, film tv di Ryan Murphy (American Horror Story) incentrato sull’epidemia di HIV/AIDS che agli inizi degli anni ’80 si registrò a New York City, principalmente tra la comunità omosessuale. Il cast include Julia Roberts nei panni della dottoressa che studiò i primi casi di contagio. Un ruolo che l’attrice aveva rifiutato più volte prima della firma. Un’esitazione che lei giustifica con “l’incapacità di comprende appieno il personaggio”, venuta a mancare quando Murphy le ha mostrato un documentario sulla poliomielite, di cui la dottoressa Emma Brookner ha sofferto da bambina. Roberts è affiancata da Mark Ruffalo, che interpreta una vittima dell’allora misteriosa malattia; Matt Bomer (White Collar), dimagrito di 18 Kg per il ruolo dell’interesse amoroso di Ruffalo; Jim Parsons (The Big Bang Theory) nei panni di un attivista gay (lo stesso ruolo che aveva interpretato nell’opera teatrale di Larry Kramer di cui il film è l’adattamento); e Taylor Kitsch (Friday Night Lights),volto di un importante attivista anti-AIDS apertamente gay.
La vera punta di diamante di questo 2014 targato HBO sembra essere tuttavia The Leftovers, il mistery drama che riporta in tv Damon Lindelof quattro anni dopo Lost. Basato sul romanzo di successo di Tom Perrotta conosciuto in Italia con il titolo Svaniti nel nulla, la serie racconta cosa succede quando il due percento della popolazione mondiale scompare nel nulla, senza alcun motivo. Nei 10 episodi ordinati, il capo della polizia Kevin Garvey (Justin Theroux, Six Feet Under), padre di due figli, indaga sul caso cercando di mantenere una parvenza di normalità in un mondo che ha cominciato a rifiutare completamente questo concetto. Vista la fortuna avuta dopo Lost da tutte le serie in cui le risposte latitano, Lindelof assicura: “Ciò di cui ci occupiamo sempre di più è come questi personaggi si comportano in un mondo simile, piuttosto che cos’è successo, dove sono finiti tutti e perché. Questi personaggi non sono impegnati attivamente nel decifrare quello che è successo in principio. Cercano di capire cosa fare delle loro vite”. Aggiunge Perrotta: “Più che a quel momento, siamo interessati a com’è il mondo tre anni dopo quello che è successo”.
Infine, il 6 aprile, in occasione del ritorno de Il Trono di Spade con la quarta stagione, HBO continuerà ad affondare le braccia nel genere comedy con Silicon Valley, che per i produttori esecutivi Mike Judge (King of the Hill) e Alec Berg (Larry a pezzi) sarà per San Francisco quello che Entourage è stata per Hollywood. Nel bel mezzo della lussureggiante area dove la corsa all’alta tecnologia ha reso le persone più qualificate per avere successo le meno qualificate per gestirlo, Silicon Valley segue tra gli altri Erlich (T.J. Miller), il proprietario della Hacker House, la cui intelligenza è subordinata talvolta al suo egocentrismo, spalleggiato dalla sua condizione di pesce grosso in uno stagno piccolo. Il personaggio e il mondo che lo circonda sono nati da una ricerca scrupolosa sulla nuova mecca del capitalismo e sulla sua classe regnante di imprenditori. “Ciò che avevamo immaginato non era folle neppure la metà rispetto a quello che abbiamo scoperto in termini di assurdità ed eccentricità”, rivela Berg. Tuttavia, i protagonisti non sono tanto la rappresentazione di qualcuno di specifico, piuttosto l’emblema della cultura miliardaria della valle. È difficile dire però se la loro sia una lettera d’amore o un ritratto velenoso – in parte perché sono i primi a non saperlo.