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Il coraggio di osare (parte 1)

Shock e disperazione tra i fan di Grey’s Anatomy dopo le tragiche vicende raccontate nell’episodio Santuario. E’ davvero la fine per qualcuno, o questo è solo l’inizio della guarigione?

Il coraggio di osare (parte 1)

Poche serie hanno la capacità di restare interessanti dopo la prima stagione, figuriamoci dopo sei anni. Ancora meno sono quelle che, giunte a un certo apice di popolarità, hanno il coraggio di mettersi in discussione venendo meno a una regola non scritta secondo la quale squadra che vince, non si cambia. Guardandoci indietro riusciamo finalmente a renderci conto di quanto sia stata salutare per Grey’s Anatomy quest’ultima stagione, di cui FoxLife sta proponendo in questi giorni l'ultimo atto. Inizialmente un ciclo molto criticato dai fan, per la minore teatralità e complessità dei casi medici affrontati e per l’eccessiva ovvietà e immobilità dei rapporti tra i dottori. Con un cast dimezzato e la storica coppia Meredith-Derek finalmente felice e contenta (talmente belli loro che sarebbe stato una caduta di stile metterli nuovamente l’una contro l’altro), Grey’s Anatomy rischiava di imboccare il viale del tramonto. E mentre le colpe e le ingiurie verso la sempre più impegnata Shonda Rhimes si moltiplicavano, il colpo di coda è arrivato finalmente con il penultimo episodio della sesta stagione, in onda ieri sera in Italia.

Uno schiocco assordante, che ha fatto di Santuario probabilmente l’episodio più sconvolgente nella storia di Grey’s Anatomy. Per poterne capire meglio le dinamiche, però, abbiamo bisogno di fare qualche passo indietro, precisamente all’episodio in cui Gary Clark maledì il giorno in cui Shepherd (Patrick Dempsey) incrociò il suo cammino decidendo di lasciar morire sua moglie perché un intervento chirurgico dagli esiti incontrovertibili aveva reso la donna un vegetale. Esaudendo una richiesta della sua paziente, Derek staccò la donna dai macchinari che la tenevano in vita, costringendo il signor Clark - incapace di separarsi da lei - dapprima a fare causa all’ospedale, e poi ieri a compiere un gesto destinato a cambiare per sempre il modo in cui i dottori del Seattle Grace Hospital lavorano ed interpretano il loro mestiere.

Lo dice Meredith (Ellen Pompeo) all’inizio della puntata: alcune persone hanno paura dell’ospedale, temono di perdere qui le persone che amano, soffrono della sofferenza degli altri, e non fanno altro che augurarsi di uscirne il prima possibile. Altri, coloro che in quelle corsie sono cresciuti, considerano l’ospedale come una chiesa, come la propria casa. O meglio, “consideravano”. Ancora distrutto per la prematura scomparsa della moglie, divorato dai sensi di colpa per non essere stato in grado di assumersi le responsabilità che come uomo e marito gli spettavano, Gary Clark s’introduce nel Seattle Grace, armato di una pistola, deciso a compiere la sua folle impresa: vendicare l’ingiusta morte della moglie uccidendo altrettanto ingiustamente chi direttamente o indirettamente n’è stato il responsabile. Il chirurgo visto come un nemico, come una persona insensibile, cui non importa se dietro a un caso medico si celano persone, sentimenti, famiglie, intere vite.

Diretto all’ufficio del capo, Derek Shepherd, Clark si fa strada uccidendo una persona dopo l’altra, un medico dopo l’altro. Un bagno di sangue che mai prima d’ora aveva imperversato su quei letti e su quei pavimenti in una maniera così imprevedibile, neppure nelle situazioni mediche più drammatiche. L’uomo uccide con un colpo alla testa la giovane e antipatica dottoressa Reed. Ferisce gravemente Alex (Justin Chambers) al petto, il quale si trascina in cerca d’aiuto lasciando dietro di sé una scia rossa di disperazione e terrore - sentimenti mai visti prima d’ora in quegli occhi. Ammazza infermieri, guardie di sicurezza, chiunque gli intralci il cammino verso Shepherd. Ferisce a morte il dottor Percy e terrorizza persino l’inquietabile Miranda Bailey (Chandra Wilson), che arriva a mentire sul suo unico credo, la chirurgia, pur di salvarsi. E mentre in centinaia fuggono in ogni direzione, altrettanti ignorano quanto sta accadendo ai loro colleghi, trincerati da un protocollo che gli impedisce di muoversi. Ma non Derek, il capo, che infine si trova di fronte al killer, ricevendo la sua parte di punizione - una pallottola nel cuore - nonostante le sue parole di conforto e comprensione nei confronti dell’uomo e dell’intera vicenda che ha vissuto. Tutto questo sotto gli occhi sgranati di Meredith, che aveva appena scoperto di aspettare un bambino dal marito.

Una serie forte e molto seguita dal pubblico non ha nulla da perdere se qualche elemento viene a mancare. Infatti, in tutta questa situazione, non abbiamo sentiamo la mancanza di George O'Malley o Izzie Stevens. Nonostante i numerosi volti “inediti” coinvolti, ai quali il pubblico non è molto affezionato, Santuario dimostra che la potenza del racconto sta nella sua drammaticità, a prescindere da chi ne è il protagonista. Certo, fa effetto vedere quello sguardo sul volto di Derek, emoziona la disperazione di Meredith, ci preoccupa la precarietà della condizione di Alex. Con questo episodio, però, Grey’s Anatomy si riappropria prima di tutto del suo appellativo di medical drama, lasciando a bocca aperta chi finora l’aveva giudicata una poco credibile melassa d’inciuci e triangoli amorosi.

Superficialmente, il genocidio compiuto da Gary Clark sembra una toppa a una stagione criticata per la sua poca concretezza. Troppa gente nuova gestita con poco sale in zucca, non si fa in tempo ad appassionarsi alla storia di qualcuno che già e stato sostituito da qualcun altro. Clark, seppur nel modo più orribile possibile, fa un po’ di pulizia e ristabilisce quelle che debbono essere le priorità. E se Meredith credeva che l’ospedale fosse la sua chiesa, la sua casa, da questa tragedia forse imparerà che, nella migliore delle ipotesi, Clark non è il suo male ma la sua cura.

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