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Deep State: Intrighi, doppi giochi e collusioni tra affari e politica nella nuova serie tv Fox

di Maria Letizia Maiavacca
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Le nostre interviste ai protagonisti, incluso Mark Strong, e agli ideatori.

Deep State: Intrighi, doppi giochi e collusioni tra affari e politica nella nuova serie tv Fox

C'è uno stato parallelo che muove i nostri destini o è solo paranoia cospirazionista? Intrighi, doppi giochi e collusioni tra affari e politica sullo sfondo del caos in Medio Oriente sono gli ingredienti di Deep State, nuovo spy thriller dal respiro internazionale in onda su Fox dal 9 aprile ogni lunedì alle ore ore 21:50. Dentro la realtà dello spietato mondo delle intelligenze mondiali, la serie, prima produzione originale europea dei canali Fox, segue Mark Strong (Syriana) nei panni di Max Easton, una ex spia il cui passato torna a tormentarlo. Costretto a tornare sul campo per vendicare la morte del figlio, Max finisce nel bel mezzo di una complicata guerra tra spie le quali stanno cercando di approfittarsi del caos che regna in Medio Oriente. Ciò che lo aspetta è un gioco pericoloso dove non tutto è come sembra, e dove le potenti corporazioni sono disposte a ogni cosa per mantenere la loro reputazione e credibilità e seppellire i loro sporchi segreti. ComingSoon.it Serie TV ha incontrato a Londra i protagonisti Strong, Karima McAdams, Lyne Renée, Alistair Petrie e Anastasia Griffith, nonché il co-ideatore Matthew Parkhill. Ecco cosa ci hanno raccontato del loro personaggio e di Deep State (termine che descrive quei corpi intermedi del potere che rappresentano un vero e proprio governo ombra in grado di decidere le sorti del Paese), da poche ore già rinnovata per una seconda stagione.

Matthew, secondo te quanto è profondo il nostro Deep State?
Parkhill: Il concetto di Deep State e le sue conseguenze sono conosciuti da molto tempo. E francamente non mi sorprende. Il primo riferimento se non sbaglio lo troviamo nel 1924 in Turchia, e da allora si è espanso ed è diventato più potente. La CIA fu fondata e doveva esistere solo in tempo di guerra. E invece pensate al potere che ancora detiene. Tra l'altro, quello che è successo nell'ultimo anno a livello mondiale ha avuto conseguenze anche sullo show: come funziona questo Deep State, che conosciamo attraverso il personaggio di Max? Personalmente è un concetto che nei minimi termini è davvero noioso. E strabiliante. Ci sono aziende che hanno guadagnato milioni di dollari nella guerra con l'Iraq fornendo asciugamani. Costruendo fabbriche. Credo che il Deep State non sia mai stato così potente come ora. E se ti rendi conto che non si fermano davanti a niente, questo mi rende anche un pochino nervoso. Per preparare questo show ho passato molto tempo parlando con agenti della CIA e dell'MI6, di come si sarebbero svolti gli episodi e la storyline, perché volevo sapere se dal loro punto di vista avesse un senso e fosse credibile oppure no. Mi hanno detto che era credibile, e che più la trama rimaneva generica più era realista. Ho visto questo documentario di Jeremy Scahill, Dirty Wars, che mi ha ispirato molto per Deep State. Perché esiste, e appunto, in questo caso è documentato. Quindi reale. E se esiste in un documentario del genere, immaginate cosa altro ci possa essere, cosa altro non sappiamo.

Deep State
Lyne Renée

Mark, parlaci di Max. Cosa ti piace di più di lui?
Strong: La complessità della sua vita. Il fatto che decida di lavorare per l'MI6 credendo di poter cambiare le cose, di stare facendo qualcosa di buono per il suo paese. Mi piace la sua ingenuità nel pensare che possa riuscirci. E scopriremo infatti che gli chiederanno di fare cose che lui non vorrebbe. Per questo lascia, e ciò coinvolge l'intero rapporto che ha con la sua prima famiglia. E ora che gli viene chiesto di tornare sul campo, sa che tutto ciò avrà delle conseguenze sulla sua nuova famiglia. Tutti questi strati in Max e tutto quello che dovrà passare in questi 8 episodi mi interessavano molto.

La vita di una spia non sembra fatta per avere una famiglia, invece Max sceglie di averne ben due!
Strong: Sono dilemmi morali molto personali. Inoltre, non puoi fare molte ricerche - non conosco nessuna spia, non ho idea della vita che facciano. È un territorio davvero affascinante. Anch'io mi sono chiesto molte volte se avere una famiglia e dei figli ti permetta realmente di fare la spia, a meno che tu non riesca a vivere una doppia vita, ma lo stress mi sembrerebbe impossibile da sopportare.
Renée: Credo che per loro sia un lavoro e basta, che ci sia una grossa componente di distacco. Penso che lo considerino un grosso lavoro di responsabilità e di dovere, e avere una famiglia forse è l'unico modo per sentirsi degli esseri umani normali.
Strong: Le azioni che compiono le spie che lavorano per il proprio paese sono atti di patriottismo, c'è anche una componente di orgoglio nel farle. È quello che fa Max quando decide di diventare una spia. Crede che possa cambiare le cose, almeno in superficie. La sua coscienza sussulta quando gli chiedono di fare cose che lui non vuole fare. Se invece la tua coscienza non sussulta, è perché giustifichi lo stesso quelle azioni, le fai per il tuo paese.

Anna scopre una realtà molto diversa su chi sia il marito, e la sua fiducia crolla.
Renée: Per me la fiducia è molto importante, ma credo che in ogni relazione la fiducia sia qualcosa che esiste nel nucleo stesso della relazione. Lo shock di Anna nello scoprire che la realtà non è quella che credeva, la fa vacillare. Come si reagisce? Cosa devi fare? All'inizio è incredula, non può ammettere che tutto quello che ha costruito si stia sgretolando sotto i suoi occhi, ma il punto è che deve rimanere forte per le sue figlie. Ecco perché la scena della telefonata tra lei e il marito, nel secondo episodio, è bellissima - vorrebbe fargli tante domande ma non lo fa, ha paura di conoscere le risposte. E ferma il video che sta per guardare. Sa che qualsiasi cosa vedrà sarà tremenda.
Strong: Una delle domande che la serie pone alla fine è se esistano davvero le seconde possibilità? E chiede a te di rispondere alla domanda se queste due persone debbano stare insieme. Se Max meriti una seconda possibilità. È questa la vera questione sulla fiducia, se questa fiducia che all'inizio esiste tra loro sia stata irrimediabilmente tradita. Durante il corso della storia, della loro storia, si parlerà proprio di questo.

Deep State
Karima McAdams

Anche perché sappiamo che Max è recidivo, ha abbandonato la sua prima famiglia.
Strong: Sì, ma la sua prima famiglia era al corrente di quello che faceva, la prima moglie è una giornalista che sapeva tutto. Durante gli 8 episodi ci saranno dei flashback su quella che era la sua vita prima, con suo figlio, quanto fosse tutto molto difficile. E si scoprono le ragioni per le quali se n'è andato. E perché ha deciso di non raccontare nulla alla sua nuova famiglia. Non solo del suo lavoro, ma anche dell'altra famiglia che ha lasciato a Londra pensando in buona fede di stare facendo la cosa giusta per il bene di tutti. E questo è un tratto del carattere del mio personaggio. Da spettatore decidi se faccia bene o male. Ma lui onestamente sta cercando di fare le cose giuste. Che però non sempre gli riescono.

E Max avrà questa seconda possibilità?
Strong: Questa domanda non ha una risposta lineare. La storia prende molte deviazioni rispetto ai primi episodi. Ci sono molte domande da fare e alle quali rispondere nel corso dei successivi prima di poter arrivare a questa.

Karima, cosa ti piace di Leyla?
McAdams: Sicuramente posso relazionarmi col fatto che lei sia mezza marocchina e mezza inglese, proprio come me, e si senta a metà. E più andiamo avanti nella storia, più lei si sente emotivamente scossa, Per lei diventa sempre più difficile decidere da che parte stare, perché si sente connessa con entrambe le parti, che però sono in guerra, tra politica e affari. Cose molto distanti da lei, eppure ci si trova in mezzo. È stato molto interessante interpretare qualcuno molto vicino a me, e anche molto simile, per cui ho dovuto concentrami sulle differenze.
Parkhill: Quando ho conosciuto Karima, ho cambiato il personaggio e l'ho reso mezzo marocchino e mezzo inglese. Mi sembrava più funzionale alla storia, in più è ambientato in un paese musulmano e volevamo mostrare rispetto. La scena d'apertura è quella di una preghiera. Poi l'uomo si alza, va nell'altra stanza e, quando parla, scopriamo che ha un accento inglese, lavora per l'MI6 ed è il capo. Per noi questa scena funziona proprio perché ribalta la prospettiva dello spettatore. Per quanto riguarda il ruolo di Karima, per me come sceneggiatore volevo portasse qualcosa di suo, e sono molto fiero di aver fatto questa scelta. Abbiamo 120 attori parlanti nello show, qualcosa può sempre andare storto, per cui ogni attore che porta qualcosa al massimo livello di cui è capace si merita il massimo rispetto.

Deep State
Alistair Petrie

Amanda è una donna di potere in una società molto maschilista. Deve lavorare di più e meglio per farsi valere?
Griffith: Ci sono molte donne che lavorano in posti chiave alla CIA, ma è un mondo ancora molto maschilista e per lei avere quella posizione significa che è davvero molto brava, perché è ancora raro. Credo abbia tutto a che fare con il controllo, e nella sua posizione si deve difendere continuamente da chi vuole manipolarla e farle compiere scelte che fanno comodo solo a pochi, per riaffermare il loro potere su di lei. Invece, dal suo punto di vista, Amanda sta facendo la cosa giusta a mantenere la calma e rimanere in equilibrio - almeno all'inizio - perché crede nella giustizia e in quel sistema. E crede nell'idea di proteggere il mondo dalle armi nucleari. E soprattutto crede nella democrazia.

Alistair, sei tu il cattivo della storia?
Petrie: La domanda è interessante, ma ogni personaggio che interpreto non lo giudico mai in questo modo. Nel mondo di George White le persone compiono decisioni anche sbagliate. Credo che la domanda da fare sia piuttosto, perché si trova lì? Cosa l'ha spinto ad arruolarsi nei servizi segreti? Perché all'inizio voleva fare la cosa giusta, ed è la stessa risposta che probabilmente darebbe un medico o un poliziotto. Per arrivare dov'è ha dovuto seguire un allenamento sfiancante, test psicologici e attitudinali, e se fallisci anche solo un semplice test psicologico, sei fuori. E ora deve prendere delle decisioni e altra gente conta su di lui, per cui la sua moralità viene messa a dura prova. Entra in una zona grigia senza contorni certi.
Griffith: Dal nostro punto di vista, stando fuori da quello che succede, decidere cosa sia giusto o sbagliato è più facile. Chi ci sta dentro non ha queste visioni. È l'effetto di quello che viene definito "danni collaterali", eliminare una persona per salvarne 500, ma la notizia è che una persona in vista è stata uccisa.
Petrie: E comunque, per rispondere alla sua domanda in modo chiaro, no, non sono il cattivo, ce ne sono fin troppi.
Griffith: Quello che posso dire è che, da madre, e per quanto mi riguarda, sono davvero contenta di non fare un lavoro del genere. Sarebbe troppo difficile. Mi rendo conto che abbiamo bisogno di persone così, a salvaguardia della nazione, per questo non mi prendo la briga di dire se Amanda Jones abbia torto o ragione a fare quello che fa. Certamente, a seconda delle decisioni che arriverà a prendere, a un certo punto non potrà più tornare indietro in maniera pulita, ma sapendo tutto quello che sa lei nella sua posizione, non saprei dire cosa avrei fatto io. E questo poi ha delle conseguenze su di lei, anche da un punto di vista personale. Io, da madre, devo ammettere che il mio livello di ansia è ai livelli massimi, quindi per lei proteggere i suoi figli diventa una priorità assoluta. Ed è quando le cose diventano personali che diventano anche più pericolose.

Deep State
Anastasia Griffith

Cosa rende questa serie diversa da altre dello stesso genere?
Petrie: Si ha il tempo di conoscere tutti i personaggi, e per essere uno show di spionaggio è piuttosto calibrato nel ritmo. Non è tutta azione, e ogni personaggio lo conosciamo anche nel lato privato, a casa.

Scene d'azione o scene drammatiche: Matthew, cosa preferisce?
Parkhill: Non faccio troppa differenza, dirigere per me è sempre secondario allo scrivere, lo trovo più meccanico, e tutte le scene d'azione sono eseguite dagli stunt, mentre per quanto riguarda alcune scene di esplosioni le abbiamo aggiunte digitalmente. Ma la scena dell'esplosione della macchina è reale. Quella è stata una giornata molto lunga sul set, e l'esplosione è avvenuta solo alla fine. Molte cose potevano andare storte e non potevamo ripeterla, c'era molta tensione. Con gli stunt si prova e diventa una coreografia, sporca, perché non voglio che si veda che è preparata, ma ci sono meno margini di errore. Per una scena d'azione hai bisogno di molta copertura. Invece le scene drammatiche sono più intime. Mi piacciono entrambe, però.

Secondo voi chi è più pericoloso, un pazzo al potere o una persona al potere facilmente manipolabile?
Griffith: Stai pensando di qualcuno in particolare? Non ne ho idea, mi sembrano due opzioni entrambe molto pericolose.
Petrie: Per me la manipolazione è la cosa più pericolosa. Nel nostro sistema democratico un pazzo al potere è più facilmente contenibile, dove invece la manipolazione è più sottile e meno facilmente riconoscibile. Quando poi si mischiano affari e politica, come in Deep State, e non parlo solo della serie, la manipolazione è il prezzo che spesso ti chiedono di pagare.

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