Come l'11 settembre ha cambiato la tv
Dall'omaggio di Sex and the City alle storie più complesse di Rescue Me, ecco come l'11 settembre ha influenzato e cambiato la tv.
Difficile non notarlo, in questi giorni ricorre il decimo anniversario del tragico attacco terroristico che nel settembre del 2001 gettò in ginocchio in un istante (in realtà sembrò un tempo crudelmente infinito) la città di New York, gli Stati Uniti e il mondo intero. Alcuni di voi si saranno chiesti perché ricordare un giorno terribile come l’11 settembre. Le commemorazioni che l’America si prepara a celebrare dimostreranno come questa sarà un’opportunità, più che un’occasione, per ricordare con sentito affetto le migliaia di anime scomparse a causa di quegli attentati, e soprattutto per dimostrare con le loro famiglie e i loro amici la forte volontà d’animo di un popolo, capace di vincere contro l’onta del terrorismo. Un anniversario in cui il progresso - simboleggiato dalla incalzante rinascita di Ground Zero - avvolge il dolore, consegnandolo definitivamente alla memoria storica, promettendo e pretendendo allo stesso tempo un futuro senza nuove tragedie condizionate dall’odio. Benché avremmo dovuto, nessuno di noi avrebbe potuto pensare che un avvenimento di una tale crudeltà avrebbe oscurato (letteralmente e metaforicamente) i cieli soleggiati di un’abitudinaria giornata di fine estate. Eppure già all’epoca non era necessario fare un grande sforzo per ricordare quanto la storia più recente era stata ingiusta e gonfia di rivendicazioni inappagate. Mentivamo a noi stessi pensando che il nostro fosse tutto sommato un bel pianeta sul quale vivere, trovandoci poi a dover fare i conti con un modo cambiato che non riconoscevamo più.
Dopo l’11 settembre è scoppiata una guerra che ancora oggi si porta dietro la responsabilità di altri morti innocenti. Per la prima volta, la gente ha cominciato ad avere paura di muoversi, di accomodarsi in un aereo, di aprirsi allo straniero nel quale non si riconosceva. I controlli e la sicurezza sono diventati così insistenti da giustificare anche la violazione di un aspetto importante della vita come la privacy. Addirittura, c’è chi sostiene che il difficile momento economico che stiamo attraversando sia uno dei rami di quei semi marci piantati dai tre attentati, e dal volo precipitato senza causare altri danni grazie all’eroismo dei suoi passeggeri. Questi sono tutti comportamenti e storie che, inevitabilmente, dall’11 settembre abbiamo iniziato a riconoscere anche in tv, dove la spaccatura tra il prima e il dopo non è meno evidente che altrove. Senza un 11 settembre, quale sensazionalismo avrebbe avuto lo schianto aereo nel pilota di Lost? Quanto importante e coscienziosa sarebbe stata la lotta al terrorismo di Jack Bauer in 24? Quale senso avrebbe avuto il crollo esistenziale di Justin - reduce dal conflitto armato in Afghanistan - in Brothers & Sisters? Negli ultimi dieci anni, le serie tv ci hanno mostrato un’infinità di personaggi e altri rimandi (gli omaggi di Sex and the City, Senza Traccia, Squadra Emergenza, ecc.) agli attentati del 2001, mentre in altre occasioni si è scelto deliberatamente di alzare il cumulo di polvere per svelare realtà che, per quanto vere fossero, con l’11 settembre tutto avevano da spartire.
Una di queste ultime fu Sleeper Cell della rete via cavo Showtime. In un momento in cui affrontare il dolore delle famiglie era un atto di coraggio e non di responsabilità, Showtime pensò fosse più semplice e giusto accompagnare il pubblico nella quotidianità e nella mentalità di quello che era diventato un nemico comune, il terrorista. La storia era abbastanza scontata, più di quanto non lo fosse prima dell’11 settembre: un agente dell’FBI, musulmano praticante, riesce a infiltrarsi in un gruppo di uomini apparentemente ordinari, in realtà membri di una cellula terroristica islamica pronta a colpire. Sleeper Cell portò sullo schermo temi e realtà delle quali fino a quel momento si era parlato poco - dal fanatismo religioso ai disumani interrogatori dei prigionieri di guerra. L’esperienza, delicata anche per una rete via cavo, durò pochi mesi, molti meno dell’approccio verso la tragedia adottato da FX con Rescue Me. L’attentato alle Torri Gemelle di New York è ricordato anche per la morte di centinaia di vigili del fuoco, che hanno dato la propria vita per salvarne quanto più possibile delle altre. La serie, che ha terminato il suo viaggio pochi giorni fa dopo sette stagioni memorabili, tanto drammatiche quanto pervase da un divertente e sincero cameratismo maschile, ha provato a immaginare la vita di quegli eroi dopo l’attentato, sia quelli che sono sopravvissuti sia quelli che non ce l’hanno fatta, in questo caso attraverso le complesse esistenze e le illusorie allucinazioni dei loro amici e parenti.
Rescue Me è senz’altro la produzione televisiva che meglio simboleggia la lenta, difficile, a volte incoerente, ma necessaria rinascita di New York e di chi la tragedia l’ha vissuta in prima persona. Ma non è l’unica, e tra le tante non tutte sono state onorevoli con tutti. Oltre all’intelligente umorismo politicamente scorretto che Seth MacFarlane ha usato nelle sue serie animate contro l’amministrazione Bush per il modo in cui ha gestito l’emergenza prima, durante e dopo l’11 settembre (indimenticabile lo sketch de I Griffin in cui Osama bin Laden si prende gioco dell’Intelligence americana), perle complottiste e personaggi che hanno parlato degli attentati come di una conseguenza - non così imprevedibile per il governo - della rincorsa al petrolio, si sono visti in Six Feet Under. C’è stato poi chi ha affrontato il tema dell’utilità della guerra in Afghanistan, raccontando in maniera esplicita o meno diretta come il conflitto stia amplificando il dramma dell’11 settembre sia al fronte che a casa - su tutte la serie di Lifetime Army Wives ma anche la più recente Combat Hospital.
Ancora più strano, forse, è il che fatto che il decennio appena trascorso voglia essere usato come pretesto per il cambiamento più dalla realtà che dalla tv, dove nei prossimi mesi si continuerà a rievocare l’11 settembre non solo per necessità di commemorazione, come farà ad esempio tra qualche settimana CSI: NY, nella quale il capo della scientifica Mac Taylor tornerà con la memoria a quei terribili giorni per incontrare la moglie, deceduta nell’attentato alle Torri. Come per molti altri, per Mac sarà un momento di confronto con se stesso, utile per trovare ancora oggi la forza di andare avanti, mentre per altri andare avanti significherà tornare indietro. Showtime lancerà a gennaio Homeland, un’importante produzione in cui la vincitrice dell’Emmy Claire Danes veste i panni di un’agente della CIA la quale sospetta che il connazionale miracolosamente sottratto alla prigionia islamica stia in realtà complottando contro la sua stessa Nazione, rappresentando quindi una serie minaccia per la sicurezza. Inoltre, il recente assassinio del fondatore di al-Qaeda ha incoraggiato la FOX a rimettere le mani su Exit Strategy, un drama d’azione incentrato sulle missioni di salvataggio e sulla risoluzione di situazioni di disordine compiute da una squadra speciale altamente qualificata.
Non essendo la tv un media che si rigenera da solo bensì che si alimenta anche delle esperienze di chi fa tv, un evento di una portata devastante come l’11 settembre certamente continuerà a influenzare le sue storie ancora per molto tempo, come stanno continuando a fare altre pagine tristi della nostra Storia, questo perché per molto tempo la tristezza, il dolore, la rabbia o la paura per quanto avvenuto non solo a New York continueranno a far parte della nostra esistenza, ogni giorno. Il modo in cui questa tragedia ha cambiato le abitudini e il modo di pensare della società, si riflette in tv perché tra i suoi obiettivi c’è quello di essere riconoscibile, familiare, quasi umana. La tv entra nelle case, spesso senza chiedere il permesso, e questo significa che certe volte sente e vuole responsabilità che vanno oltre il semplice intrattenimento. E’ probabile che non avremo altri Rescue Me nei prossimi anni, mentre non c’è dubbio che il futuro, non solo quello a noi più vicino, ci riserverà altri modi di ricordare quegli istanti, altre persone che di quel giorno portano un’esperienza diversa da quella degli altri, non meno meritevole di essere raccontata o solo accennata rispetto alle altre che l’hanno precedura.