Diamant Brut: la recensione del film di Agathe Riedinger in concorso al Festival di Cannes 2024

15 maggio 2024
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Storia di una ragazza ossessionata dall'immagine, da Instagram e da un successo che passa solo per la forma, questo film in corsa per la Palma d'Oro è estetizzante e ambiguo, caratterizzato da uno sguardo poco limpido e sincero sulla realtà che racconta. La recensione di Diamant Brut di Federico Gironi.

Diamant Brut: la recensione del film di Agathe Riedinger in concorso al Festival di Cannes 2024

Liane ha 19 anni, vive in una cittadina tra Cannes e Marsiglia che si chiama Fréjus. La prima cosa di lei che vediamo sono delle unghie lunghissime e ingioiellate. Poi ne notiamo i capelli tinti, il trucco pesantissimo, il seno rifatto, le zeppe col tacco. Liane ruba nei grandi magazzini per rivendere la merce e fare qualche soldo per la sua prossima operazione di chirurgia estetica (obiettivo: il sedere), o per qualche vestito il cui prezzo è inversamente proporzionale alla quantità di stoffa con cui è realizzato. Liane sogna di fare l’influencer, e quando un’agenzia di casting la convoca per i provini di un reality chiamato Miracle Island, e le viene detto che sarebbe perfetta per la trasmissione, inizia a pensare che i suoi sogni si realizzeranno. Liane, come tante, troppe ragazze e ragazzine di oggi, pensa che la bellezza - o supposta tale - sia l’unica chiave per la popolarità, e quindi per il potere, e quindi per il denaro.

Non è la prima volta che la regista Agathe Riedinger racconta il personaggio di Liane. L’aveva già fatto in un corto intitolato J'attends Jupiter, che aveva al centro le stesse questioni di Diamant Brut, suo primo lungo: la società dello spettacolo contemporanea fatta di social, reality, e di tutta quell’appararenza artificiale, artificiosa e studiatissima che viene spacciata e creduta per spontaneità. Per “chi sono veramente”, come dice Liane nel film.
Quel che appare come un curioso paradosso è che Riedinger, che chiaramente vuole raccontare una generazione e i suoi falsi miti, e ancor di più di coloro che approfittano e profittano di una forma mentale che hanno loro stessi plasmato, finisca dopo pochissimi minuti per cadere proprio nelle stesse dinamiche.

Girato nell’ormai inflazionato formato in 4:3, e con quello stile di troppi film “da festival contemporanei”, fatto da una parte di naturalismo dardenniano e dall’altra di estetismi fotografici che si vorrebbero poetici e evocativi, Diamant Brut è un film che tradisce un sguardo vagamente paternalista, certamente borghese, e fin troppo meticolosamente studiato e pianificato su quelle che vengono presentate come derive antropologiche sulle quali - non senza ragioni - è necessario riflettere.
Riedinger, che con malcelato snobismo ha chiamato la sua protagonista - anche nel cognome - come Liane de Pougy, celebre cocotte della Parigi della Belle Époque, mostra ciò che mostra - marginalità, povertà, ignoranza, cattivo gusto e disperazione - con una costante ambiguità tra analisi, empatia e condanna.

Diamant Brut fa ballare Liane costantemente sul filo di una perdizione fisica e morale, per poi raccontare - in maniera fin troppo consolatoria - come la ragazza si possa salvare, e forse perfino avvicinare a una qualche dubbia forma di vittoria.
Non a caso, a sintetizzare queste ambiguità, c’è il fatto che, a dispetto di una vita costruita attorno al mito della bellezza e della provocazione sensuale e sessuale, Liane sia una ragazza vergine, e spaventata dal sesso. Una scelta a suo modo coraggiosa, nella voglia di mostrare le contraddizioni interiori di una generazione smarrita nei suoi miti fatti di silicone e filtri Instagram, ma che è anche, forse, poco coerente. Sicuramente, troppo intellettuale, troppo costruita, come tutto il film.

Un film Diamant Brut che come Liane, provoca ma non arriva al dunque, e che s’illude e vuole illudere di mettere in scena qualcosa di vero e sincero, quando invece è totalmente ricostruzione, imbellettamento, finzione. Un film che sfutta Liane, e le Liane di tutto il mondo, alla pari dei reality che le raccontano.
Piccola curiosità, che poi è anche un indizio: a un certo punto del film Liane, parlando con le sue amiche di una tipa che sta mezza mezza nuda su Instagram e che la ragazza idolatra, racconta loro che grazie al suo successo “è stata perfino al Festival di Cannes”. Ecco.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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