Va' dove ti porta il cuore, film drammatico diretto da Cristina Comencini, racconta la storia di Olga (Virna Lisi), un’anziana signora che vive in una bellissima villa appena fuori Trieste. La donna ha un passato alquanto difficile: tra drammi familiari e ostacoli, ha dovuto crescere da sola la nipote Marta (Valentina Chico). La ragazza, che ora è divenuta un’adulta, ha deciso di partire per l'America. Negli ultimi tempi, tuttavia, tra le due non correva buon sangue e, per trovare una soluzione, decidono di non sentirsi per un po’ nella speranza di sedare l’astio e recuperare il loro rapporto.
Col passare del tempo, però, Olga sente di essere arrivata vicina alla morte. Triste, sola e rassegnata, sceglie di rompere il silenzio che la divide da sua nipote, per confessarle alcuni segreti appartenenti alla sua famiglia. Ma non riesce a farlo veramente. Così inizia a scriverle una lettera, come se fosse un po’ un diario. Le racconta di come la sua famiglia borghese le abbia fatto sposare Augusto (Massimo Ghini), un ricercatore alquanto particolare. E poi del suo incontro con Ernesto (Tchéky Karyo), un dottore per il quale provava una forte passione. Quando Marta farò ritorno per il funerale della nonna Olga, troverà il diario-lettera e capirà il vero senso della vita…
Se il romanzo (lo si accetti o lo si rifiuti, e io mi metto fra coloro che lo considerano in modo positivo) appare piuttosto unitario, il film lo è di meno. Ha le pagine belle e altre poco persuasive. Limpide sempre le conseguenze incentrate su Virna Lisi che, per fortuna, formano il grosso del racconto. Il chiudersi del muro difensivo che ha tirato su per non farsi ferire, il suo affacciarsi dall'alto, il suo pretendere un gesto affettuoso che il più delle volte le viene negato è colto dall'attrice con duttile finezza di passaggi. Il personaggio di Olga riassume bene un tipo psicologico - settentrionale. Ma bene individuata è anche sua figlia Ilaria che Galatea Ranzi tratteggia sottolineandone i risentimenti, quelle ostilità proprie di chi sente di aver subito una ferita e sa di non averla cercata o meritata. Cristina Comencini, come del resto la Tamaro, non si tira indietro davanti a soluzioni che farebbero storcere la bocca a un regista o a uno scrittore schizzinoso: vedi le moine del cane, un esempio per tutti per scoprire un gioco narrativo che, a ben guardare, fece la fortuna presso le platee del cinema classico americano. Sarebbe facile prenderle di mira ed enumerarle; e non ci si accorgerebbe, così facendo, che esse sono funzionali a quel coinvolgimento emotivo che il film va cercando, a quella popolarità che finirà per trovare nel largo pubblico. Quelle che paiono manierate, visibilmente fuori tema, sono le scene dell'innamoramento di Olga, immalinconita da un bigio matrimonio, in quel di Porretta Terme. Sono proprio da romanzo rosa. Non sarebbe male se la Comencini le sfoltisse valorizzando così quanto di buono, e non poco, è presente in Và dove ti porta il cuore. (Avvenire, Francesco Bolzoni, 9/2/96)Al film di Cristina Comencini mancano proprio le qualità essenziali del romanzo, e mancano perché di tutte le strade è stata scelta la più ovvia. Illustrare, col massimo della fedeltà possibile, la lunga lettera-monologo del romanzo; raffreddare da una parte per melodrammatizzare dall'altra; eliminare le punte più ardue come i riferimenti al karma e alla trasmigrazione delle anime: e questo è anche un bene ma contribuisce a banalizzare la vicenda; smussare i toni più sgradevoli del racconto, dall'indifferenza della nonna per la figlia all'improvvisa certezza che quella creatura così poco amata fosse semplicemente poco intelligente. Mentre l'incidente in cui perde la vita la figlia illegittima è incongruamente spettacolare (e in macchina, a differenza che nel libro, c'è pure la bambina), la nonna non si limita a scrivere un diario ma muore, e via rincarando le dosi. Esigenze del cinema, che chiede sapori forti? Forse, ma allora bisognava andare fino in fondo, mentre tutti i momenti "caldi" (come l'amore clandestino di Margherita Buy), lacerati fra l'imperativo dell'eleganza e l'esigenza di colpire, brillano per freddezza. E se l'amante Tcheky Karyo è un gioiello di miscasting, se Massimo Ghini e Galatea Ranzi, per quanto efficaci, risultano sacrificati dalla sceneggiatura (della Comencini e di Roberta Mazzoni), il film finisce per poggiare quasi interamente sulle spalle di Virna Lisi. Che conferma una grande maturità, ma non può salvare da sola un film così calcolato e risaputo insieme. (Il Messaggero, Fabio Ferzetti, 9/2/96)
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Susanna Tamaro (1994).
Virna Lisi ha vinto il Nastro d'Argento (1997) e il Globo d'Oro (1996) per questo ruolo; oltre a una nomination ai David di Donatello (1996).
Attore | Ruolo |
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Valentina Chico | Marta |
Valeria D'Onofrio | Barbara |
Maria Grazia Bon | Tata |
Francesca Bortolotti | Olga Bambina 2 |
Luigi Diberti | Padre Di Olga |
Massimo Ghini | Augusto |
Lavinia Guglielman | Marta Bambina |
Tchéky Karyo | Ernesto |
Virna Lisi | Olga Anziana |
Giacomo Piperno | Ignazio |
Galatea Ranzi | Ilaria |
Sara Sanvincenti | Olga Bambina |
Anna Teresa Rossini | Madre Di Olga |
Valeria Sabel | Signora Ratzman |
Margherita Buy | Olga Giovane |
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