The Thing with Feathers, la recensione: una fiaba nera sull'eleborazione del lutto, con un bravissimo Cumberbatch

18 febbraio 2025
3.5 di 5

Fuori concorso al Festival di Berlino 2023 il film interpretato dall'attore britannico e scritto e diretto dall'esordiente Dylan Southern. La recensione di The Things with Feathers di Federico Gironi.

The Thing with Feathers, la recensione: una fiaba nera sull'eleborazione del lutto, con un bravissimo Cumberbatch

“Che paura, la solitudine è dura / È come un corvo nella notte scura / Brutto corvo corvo nero ,vola senza di me”.
Più che il corvo, sono brutti questi versi di una brutta canzone dei Negrita di tanti anni fa. Che però, per gli strani meccanismi che mi governano, mi sono venuti in mente davanti alla pagina bianca. Che poi, chissà perché i corvi hanno questa brutta reputazione, creature intelligentissime quali sono.
Comunque. Per i Negrita il corvo nero era la solitudine. In The Thing with Feathers (come dichiara esplicitamente il titolo del libro di Max Porter sui cui il film è basato) il corvo, la cosa con le piume, che per Emily Dickinson era la speranza, è il dolore, il cordoglio, il lutto.

Benedict Cumberbatch è un uomo che ha perso improvvisamente la moglie, e che rimasto solo con due figli piccoli. Oddio, solo non proprio: perché, stravolto dal dolore, inizia infatti a vedere, e a interagire con una strana creatura, un gigantesco corvo antropomorfo che lo spaventa, lo deride, lo provoca. Lo picchia anche. In realtà è lì per aiutarlo, a modo suo: “non me ne andrò fino quando non avrai più bisogno di me”, dice, ribaltando l’affermazione di Tata Matilda, con una voce profonda, cavernosa e gracchiante che è quella di David Thewlis. Capirete bene che una situazione del genere potrebbe sfuggire di mano in un secondo, a un regista, e diventare rapidamente una grottesca baracconata. E invece. Invece l’inglese Dylan Southern, sceneggiatore e regista di questo film, è riuscito a tenere tutto assieme, e bene, raccontando una storia che fonde dramma e genere in maniera abbastanza originale e di sicuro riuscita, flirtando con certe retoriche della storia e delle immagini che sono tipiche dell’horror senza mai scavallare davvero (e un motivo c’è), e tenendo sempre al centro di tutto la sofferenza del suo bravissimo protagonista.

Non è che si possa dire che le metafore del film di Southern siano sottili, ma accusarlo di questo sarebbe un po’ sciocco, visto che il punto del suo film è esplicito, dichiarato e anzi è la fondamenta di tutto quello che vediamo sullo schermo. Il punto del film - è chiaro - è come il dolore, che ci spaventa, ci annichilisce, ci annienta, ,ma anche è qualcosa con cui dobbiamo imparare a convivere, e che ci può tenere vivi, al contrario di quanto potrebbe accadere cedendo al demone della disperazione.
Ma anche se tutto questo è ben spiattellato in evidenza a chiare lettere, The Thing with Feathers non perde in efficacia, perché quel che a Southern interessa è trovare un linguaggio visuale che possa essere visionario e concreto assieme, e che rispecchi lo stato d’animo (gli stati d’animo) del suo protagonista.

Il fatto che il personaggio di Cumberbatch sia un autore di fumetti, e che i cupi disegni del corvo che lo ossessiona e lo ossessionano siano così presenti e rilevanti per la storia può portare a fare dei paralleli con l’horror The Babadook, che pure trattava di tematiche simili, in qualche modo: ma il confronto è sbagliato, perché a Southern non interessava davvero l’horror in quanto tale: nel suo film mescola tantissimi elementi, che vanno dal gotico al romanticismo letterario e perfino a una certa idea di poesia. Più di ogni altra cosa, però, The Things with Feathers è una fiaba. Fiaba intensa nel senso più tradizionale del termine, una fiaba come quella che avrebbero potuto scrivere i fratelli Grimm, e quindi nera, nerissima come le piume di un corvo, e comunque aperta alla speranza. E in quanto fiaba aperta e dichiarata nel suo impianto narrativo così come nelle sue metafore.
Notevoli le scelte musicali, specie in una bella scena in cui - complice l’intervento del corvo - si passa brutalmente da Bonnie Prince Billy a Screamin' Jay Hawkins. Altro che Negrita.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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