The Ring 3: recensione del film horror diretto da F. Javier Gutiérrez

16 marzo 2017
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Torna Samara, svegliata dagli executives della Paramount e non esattamente di ottimo umore. Ma c'è Matilda Lutz che vuole sistemare le cose.

The Ring 3: recensione del film horror diretto da F. Javier Gutiérrez

Non se ne avevano notizie da anni, perlomeno in Occidente. Sembrava finalmente aver trovato pace. Ma ecco che qualcuno, in casa Paramount, ha pensato fosse divertente andare a svegliare il can che dorme. E il cane in questione, che poi è la sventurata e orribile Samara, non si è giustamente svegliata di buon umore.
C'era bisogno di tutto questo?, mi chiedo.
Forse no, e il sospetto che tutto questo sia successo perché bisognava ripagare F. Javier Gutiérrez della delusione di non poter più dirigere il reboot del Corvo. Allora è forse per omaggiare le atmosfere di James O'Barr, che tutta la prima parte di The Ring 3 è plumbea e piovosa, con una fotografia ultrapatinata che sembra un omaggio fuori tempo massimo al Seven di Fincher.

Samara, dicevamo. Una Samara che non si fa scrupoli a far precipitare un volo di linea solo perché a bordo si son ritrovati, per coincidenza, due che hanno visto il suo video, in un incipit appena vagamente esagerato, che ha solo la funzione di collegare il passato al presente, sotto forma del vecchio lettore VHS di uno dei due ragazzi che, due anni dopo l'incidente, viene acquistato a un mercatino (con tanto di videocassetta incriminata dentro) da Johnny Galecki.
Galecki, che qui non è il simpatico nerd di Big Bang Theory, ma si atteggia a Liev Schreiber dall'occhio porcino nei panni un professore di biologia un po' maledetto (??), che scopre come sopravvivere alla visione del video (basta fare una copia e farla vedere a qualcun'altro) e decide di coinvolgere i suoi studenti in un "esperimento" che dimosti l'esistenza dell'anima e della vita dopo la morte.

Fatto sta che tra i suoi studenti c'è il fidanzato di tale Julia (interpretata dalla Matilda Lutz dell'ultimo film di Muccino: una Lizzy Caplan più giovane, dal viso meno affilato e dalle labbra più carnose), che si fa Orfeo per salvare il suo Euridice - citati ovviamente nel primo dialogo tra i due - ma che decide di guardare (il video), e affrontare quel che c'è da affrontare.
Perché Julia di Samara non ha mai veramente paura: e ovviamente la cosa viene ben sottolineata dalla sceneggiatura. Lei Samara la vuole salvare, vuol darle pace, quella pace da cui è stata sottratta dagli executives della Paramount, e per farlo deve viaggiare fino a un paesino di 254 anime (più una, appunto) chiamato Sacrament Valley, dove Samara ogni tanto le farà "BU!" nelle sue visioni, ma in fondo solo per mostrarle la via (e per permettere a Gutiérrez di giocare coi jump scares); dove ogni tanto partono degli spiegoni un po' ridicoli; dove avrà a che fare con un ex prete cieco cattivo e coi segreti che ha il corpone massiccio e il fare inquietante di Vincent D'Onofrio; dove tra una tomba, una chiesa, una prigione segreta e una cicala, tante cicale, troverà modo di fare quel che deve fare, sempre con a fianco il fidanzato tanto salvo quanto babbeo e inutile.

Sì, perché Julia di Samara non ha mai avuto veramente paura, e se Samara l'ha scelta, l'ha scelta per un motivo. Un motivo, o forse due: perché una volta che s'è vista svegliare, la ragazza avrà anche pensato che, forse, di rimettersi a dormire subito, tanta voglia poi non ne aveva.
Se stiamo insieme ci sarà un perché, e Julia lo scoprirà stasera.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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