The Creator: recensione del film di fantascienza di Gareth Edwards

26 settembre 2023
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L'intelligenza artificiale e il Vietnam. Blade Runner e Star Wars. L'imperialismo americano e il rispetto della diversità. Il grande spettacolo e i forti sentimenti. Gareth Edwards ha messo di tutto dentro il suo film, e l'ha fatto molto bene. La recensione di The Creator di Federico Gironi.

The Creator: recensione del film di fantascienza di Gareth Edwards

C’è una guerra, ci sono i robot (anche quelli con sembianze umane) e c’è l’Intelligenza Artificiale. Che non è un’entità collettiva, astratta, minacciosa e trascendente come poteva essere la Skynet di Terminator o l’Entità (appunto) di Mission: Impossible - Dead Reckoning, ma è appunto l’intelligenza dei singoli robot, oramai diventati una vera e propria etnia. Una popolazione.
La differenza è fondamentale, per capire bene di cosa parli The Creator, e dove voglia andare a parare. Quale sia il discorso alla base che porta avanti: un discorso magari non filosofico, ma sicuramente etico, su cosa voglia dire essere umani.
La guerra di The Creator è quella che contrappone l’Occidente - o meglio, gli Stati Uniti - e l’Oriente, la Nuova Asia, il luogo dove robot e umani convivono più che pacificamente.
Il fatto è che, dopo essere stati creati per assistere gli umani nelle più svariate attività, i robot dotati di intelligenza artificiale hanno (o avrebbero) fatto deflagrare un ordigno atomico nel mezzo di Los Angeles, provocando morte e distruzione e una comprensibile ostilità. Nel 2070, a dieci anni da quell’esplosione, le forze americane hanno completato la costruzione del NOMAD, una base che fluttua nella stratosfera dalla quale colpire senza pietà gli avamposti dell’IA in Nuova Asia, per cancellarla una volta per tutte dalla faccia della Terra. Soprattutto, per eliminare il misterioso Nirmata, il padre dell’IA, e distruggere quella che viene descritta come un’arma definitiva che potrebbe far vincere all’intelligenza artificiale la guerra contro l’umanità.
Il punto, come scoprirà rapidamente Joshua, militare americano costretto a tornare in servizio per quell’ultima, cruciale missione, e che cinque anni prima aveva perso la moglie e una figlia non ancora nata quando viveva tra i robot e i loro amici sotto copertura, è che nessuna intelligenza artificiale vuole eliminare l’umanità, ma solo mettere fine a una guerra d’aggressione che sta subendo. Lo stesso Joshua, dal canto suo, non ha interesse alla missione in sé, quanto alla possibilità di rivedere la moglie Maya, che le alte sfere dell’esercito sostengono non essere morta, e vivere ancora lì, nella Nuova Asia, tra i suoi amici robot.

Gareth Edwards - che ha firmato il più bel film di Star Wars dell’era Disney, Rogue One - non ha mai fatto mistero di quanto sia stato influenzato dalla saga di George Lucas, e in The Creator sono tantissimi i riferimenti estetici e narrativi a quell’universo: dal chiaro parallelo tra la Morte Nera e il NOMAD alla forma di tanti droidi (che li chiamano in Star Wars) o macchinari futuristici, passando per una sorta di versione aggiornata della Forza che è strettamente legata al buddismo.
Allo stesso tempo, proprio nel contrasto forte tra arcaismi e ipertecnologie, nella forma e nell’aspetto delle metropoli della Nuova Asia, e soprattutto nel tema di come e quanto un robot, o un androide, possa essere considerato umano, è chiaro che The Creator ha forti debiti nei confronti dell’universo cyberpunk e di Blade Runner in particolare.
In più, l’odissea di Joshua e di Alfie - l’arma-bambina che può mettere fine alla guerra e che per questo deve morire - assomiglia molto a quella del Theo di I figli degli uomini.
Il piccolo, grande miracolo di Edwards sta nell’aver preso questi e altri riferimenti e averli trattati con sincera passione cinefila come veri omaggi, e di conseguenza il suo The Creator non appare mai passivamente o parassitariamente derivativo, facendo prendere direzioni personali a ogni influenza, mescolandole tra loro, e incastonandole in un tessuto cinematografico nel quale la spettacolarità e la tensione contano quanto i sentimenti che vengono raccontati.
Come già aveva dimostrato nel suo cinema precedente, Edwards riesce nel fare quello che nel contesto della Hollywood contemporanea sembra essere impossibile, o per nulla interessante per i più: dare un cuore, e un cervello, al blockbuster.

Il cuore è dato dalla vicenda sentimentale, dal tormento di Joshua per la perdita della moglie, dalla sua disperata ansia di ritrovarla, dal rapporto che instaura con una bambina che, in un modo o nell’altro, diventa e forse è la figlia perduta. Ma il cuore sta anche nel modo in cui Edwards, con intelligenza, fa sembrare The Creator (anche) un film sulla guerra in Vietnam, di quelli capaci di mostrare la crudeltà spietata degli americani contro una popolazione indifesa, lo sterminio dei villaggi, l’annientamento di un nemico che si vede invaso sul suo territorio. Non c’è stato, negli ultimi anni, un film tanto radicale contro gli Stati Uniti e certe sue politiche: di certo non nel cinema degli Studios.
E qui si passa quindi al cervello, al ragionamento. La violenza militare americana, tutta disumana, va a contrastare in The Creator con l’umanità - intesa come altruismo, come empatia, come rispetto e attenzione per il prossimo, perfino come sacrificio di sé per gli altri - che invece viene attribuita agli organismi robotici dotati di intelligenza artificiale.
Se Joshua, all’inizio del film, si trova a ripetere: “non sono esseri umani, sono solo programmazione”, al termine del percorso che si trova a fare gli interrogativi su come considerare questi organismi, anche per lo spettatore, sono molteplici.

A modo suo, The Creator è un film antibellicista e antirazzista, e che condanna quella voglia tutta occidentale e contemporanea di vedere la diversità, qualsiasi diversità, come una minaccia da stroncare.
È un film che racconta una storia d’amore dolorosa, una mancata paternità, una redenzione e un ravvedimento, la possibilità di andare incontro a un futuro diverso. Un film che sa essere avvincente, che sa emozionare, e che genera anche delle riflessioni.
Oggi come oggi è tutto quello si può desiderare di vedere in un blockbuster.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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