The Circle: recensione del film con Tom Hanks e Emma Watson tratto dal best-seller distopico di Dave Eggers

27 aprile 2017
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Penalizzato dall'arrivare dopo il Black Mirror di Charlie Brooker, il film di James Ponsoldt ha molto potenziale inespresso.

The Circle: recensione del film con Tom Hanks e Emma Watson tratto dal best-seller distopico di Dave Eggers

Se tu sei Emma Watson, e lui è Tom Hanks, e il copione ti richiede una scena a due piuttosto prolungata, e tu ne esci con le ossa rotte, poco male, non si sorprende nessuno: perché tu sei Emma Watson e lui è Tom Hanks.
E però, se poi ti tocca un'altra tesa scena a due, e tu sei sempre Emma Watson, e lei non è Tom Hanks ma più semplicemente Karen Gillan (con tutto il rispetto per Karen Gillan), e tu comunque ne esci con le ossa rotte, beh: forse allora c'è un problema.

Difficile dire se senza questo clamoroso miscasting (perché insomma, nei panni di Mae, confronti recitativi a parte, si fa quasi sempre un po' fatica a vederci bene la fu Hermione Granger) The Circle sarebbe stato un film migliore. E quanto, eventualmente, migliore. Di certo avrebbero giovato un po' di faccette in meno, quello sì, ma il punto non è quello, o perlomeno non solo.
Il punto è che, se il romanzo di Dave Eggers da cui il film è stato tratto, è una distopia inquietante che non ha perso un grammo di efficacia nel corso dei quattro anni passati dalla sua pubblicazione (quattro anni che, parlando di internet, sono quasi un'era geologica), il film diretto da James Ponsoldt nasce, in qualche modo, già vecchio.

La sua colpa, che non è una colpa, è quello di arrivare nei cinema dopo che in televisione, sui computer e sui tablet è passato Black Mirror, con tutto quello che questo comporta in termine di riflessione distopica sul rapporto tra uomo e tecnologia digitale.
E, nonostante tutti gli sforzi fatti da Ponsoldt in sceneggiatura (aiutato dallo stesso Eggers nella non facile operazione di sintetizzare in un film di meno di due ore 389 pagine di libro piuttosto articolate), The Circle non riesce a non sembrare un episodio non molto riuscito della serie inglese ideata da Charlie Brooker.

Eppure, i cambiamenti effettuati rispetto al romanzo (su tutti quello di un finale che muta ruolo e posizione del personaggio di Mae, che comunque sembra quasi sempre dotata di una qualche forma di coscienza, e priva del delirio allucinatorio che invece possiede nella pagina scritta) sembrano andare proprio nella direzione di un confronto diretto con Black Mirror.
Il risultato, però, è sempre quello di un film e un racconto che non riescono a trascendere la loro superficie, la loro evidenza; che si accontenta, in qualche modo, della messa in scena delle architetture della new economy e di giocare con la grafica digitale per la visualizzazione di chat, messaggi e simil-tweet.

Anche gli snodi narrativi sembrano vittime di una logica eccessivamente binaria, arrivando a svolte secche e brusche, come quando l'idillio muta repentinamente in paranoia, certi personaggi si svelano in maniera frettolosa e la stessa Mae muta atteggiamento repentinamente o in base a meccanismi pavloviani: tipo quando s'avventura col kayak di notte, andando incontro a un incidente topico, perché pochi minuti prima ha visto il padre malato (che poi è il compianto Bill Paxton, qui alla sua ultima interpretazione) sporcare i pantaloni.

A voler guardare il lato positivo, nel caso della protagonista e dell'interpretazione rigida della Watson, certi limiti appaiono quasi funzionali alla rappresentazione di Mae come una sorta di automa, di un organismo colonizzato da una tecnologia e da un'ansia di successo e popolarità che la trasforma in soldatino digitale della compagnia per cui lavora, capace di alternare la faccetta contrita a quella vagamente esaltata nell'arco di poco credibili nanosecondi.

Ma non era quello il cuore del libro di Eggers, non era il delirio di onnipotenza di un singolo a spaventare, ma il totalitarismo distopico di internet. E The Circle finisce con l'essere proprio quello che la giovane, ingenua Mae delle prime scene confessa di temere più di ogni altra cosa nel corso del colloquio di lavoro con la società che le cambierà la vita in 1 ora e 50 minuti: potenziale inespresso.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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