The Batman, la recensione del film: un Cavaliere Oscuro dark, tormentato, umanissimo
Arriva nei cinema italiani il 3 marzo l'attesissimo nuovo film sul Cavaliere Oscuro che vede protagonista Robert Pattinson e Matt Reeves dietro la macchina da presa, e che declina il cinecomic secondo traiettorie opposte a quelle della Marvel. The Batman: Recensione di Federico Gironi.
Niente più pop, come al tempo di Tim Burton e chi venne dopo di lui. Questo era ovvio. Com'era ovvio che bisognava lasciarsi alle spalle anche la muscolarità cinematografica di Christopher Nolan, i suoi Batman sì, certo, dark e tormentati, ma allo stesso tempo anche ideologicamente statuari, quella Gotham monumentale, quel racconto che si faceva esemplare, mitologico, di razionalità quasi apollinea.
The Batman doveva essere qualcosa di diverso, ovvio.
Perché non si poteva replicare l'esistente, perché un segno di discontinuità era necessario, perché il mondo, e il cinema, sono andati avanti.
Più banalmente, anche, perché nel frattempo era arrivato il Joker di Todd Phillips, e qualcuno in casa Warner ha capito che i cinecomic, loro, li dovevano fare in modo diverso, oramai.
La Gotham di Matt Reeves assomiglia tantissimo a quella del film vincitore del Leone d'oro a Venezia.
Pare la New York dei Guerrieri della notte, di Taxi Driver, dei film di Friedkin. È brutta, sporca, cattiva, piena di spazzatura, tantissima spazzatura. Di violenza e criminalità. È però ancora più scura, più buia, di quella della città di quei modelli. Più dark.
Perché The Batman è molto dark. Molto.
Piove sempre, in questa Gotham qui. Pioveva sempre nel Corvo di Alex Proyas, e qui Batman ripete spesso: "Io sono vendetta". Piove come pioveva in Seven di David Fincher, e qui l'Enigmista, che è il vero villain della storia, agisce con modalità che ricordano quelle di John Doe. Un John Doe che ha fatto sue anche certe idee e artifici usciti dalla mente del Jigsaw di Saw.
È in questa Gotham qui, in questo scenario qui, che si muove il Batman di Robert Pattinson, quello che ci hanno spiegato e rispiegato essere stato ispirato, in qualche modo a Kurt Cobain.
Tanto che Matt Reeves piazza nel suo film non una, ma ben due volte, in momenti assai studiati, la straziante "Something in the Way" dei Nirvana, per raccontarci i tormenti tra il grunge e l'emo di questo Bruce Wayne qui, di un Batman umanissimo, e assai poco supereroico in senso tradizionale. Un Batman che, ci spiega lui nel suo monologo iniziale, si muove nel buio (da due anni, dice), che usa la paura come uno strumento, che non vive nell'ombra ma è, l'ombra. Un Bruce Wayne che, ci spiega il film, vive come un recluso. Quando lo incontra, il boss mafioso interpretato da John Turturro (sublime) dice al giovane e tormentato Bruce "Ecco l'unica persona più schiva di me in questa città". O qualcosa del genere.
Se Gotham è così dark, è perché non è solo pericolosa: è corrotta, è marcia. Lo sono le sue istituzioni, i suoi rappresentanti.
È contro di loro che agisce l'Enigmista: che fa fuori il sindaco, per poi dedicarsi al capo della polizia, e al procuratore distrettuale, e poi ancora ad altri. Responsabili, a suo dire, di aver tradito la città e la sua popolazione, il sogno di una rinascita, di un cambiamento.
Agisce, l'Enigmista e gioca al gatto e al topo con Batman, coinvolgendolo, lasciandogli messaggi, facendone un complice inconsapevole. Spingendolo a fare i conti col suo passato, i suoi traumi, i suoi genitori, le sue scelte.
Il meccanismo, ancora una volta, è ovvio: l'anti-eroe e la sua nemesi che si rispecchiano l'uno nell'altro. E per chi pensa di essere dalla parte del bene, è necessaria una riflessione (sì, la solita sul bene e il male). Serve capire che la vendetta, da sola, non basta. Serve, oggi più che mai, perché altrimenti il male diventa virale, tanta è la rabbia e la frustrazione, dare speranza.
Tipo dopo l'11 settembre. Dopo il Bataclan. Dopo Utøya. E non dico altro, sennò è spoiler.
Matt Reeves sembra aver capito una cosa. Forse più di una, per carità, ma una in particolare. Che in epoca di requel, e lavorando su un materiale come quello di Batman, l'originalità conta poco o niente. Conta, giusto o sbagliato che sia, come si è in grado di rimescolare assieme influenze e citazioni. Il preesistente.
A quelle già elencate, per dire, ci sarebbero anche quella per cui il Pinguino di Colin Farrell (che qui è un gangster non al vertice della catena alimentare, ma in prospettiva lo diverrà, nell'immancabile sequel) pare l'Al Capone di De Niro degli Intoccabili, solo più sfigurato. O che certi temi musicali di Michael Giacchino sono rivisitazioni nemmeno troppo camuffate del tema della Marcia Imperiale di John Williams o di quello del Padrino. O un'inquadratura presa para para da Hopper (il pittore, non Dennis).
Anche la Selina Kaye di Zoe Kravitz, che è un bel personaggio, e che ha più sfumature di quanto non ci aspetterebbe, non è scevra da rimandi a quella di Michelle Pfeiffer. Ma, come tutto il resto del film, come il Batman di Pattison, inespressivo e depresso al punto giusto, è assai più concreta, umana, tangibile, fallibile di quella lì. Per non parlare di quanto è comune, quotidiano, il Gordon Serpico ante litteram di Jeffrey Wright bravissimo come sempre, come quasi tutti gli attori del film.
Perché la piccola rivoluzione di The Batman, anche questa, in fondo, figlia del Joker di Phillips, è che tutto e tutti, nel film, sono assai umani e riconoscibili. La trama stessa, che parla di crimine organizzato, corruzione politica, spaccio di droga, e nella quale l'azione riveste un ruolo marginale.
Perché se non vuole andare nella direzione della Marvel, e in casa Warner pare proprio non vogliano, e probabilmente fanno bene, si deve andare in quella opposta. Verso l'antispettacolare oscurità quotidiana di persone e di un mondo che sono assai riconoscibili, non tanto dissimili, e forse non peggiori, anzi, del mondo che vediamo tutti i giorni nelle nostre città, che leggiamo sui giornali, che vediamo in televisione. E capire, come capisce Bruce, che l'ideale della purezza è sbagliato, che la santità non è di questo mondo, pure quando la cerchiamo nei nostri modelli, nelle persone cui vogliamo più bene.
Errare è umano, dice The Batman, conservare la speranza, se non divino, necessario.
Allegria.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival