Teneramente folle: recensione del film con Mark Ruffalo papà bipolare

11 giugno 2015
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L'esordio nella regia della sceneggiatrice Maya Forbes è vero e agrodolce come la vita.

Teneramente folle: recensione del film con Mark Ruffalo papà bipolare

Nei proverbialmente favolosi anni Sessanta, fra i viali della bostoniana Beacon Hill o nelle aule intrise di centenario sapere di Harvard, la liberazione sessuale coincideva con la liberazione mentale e con il dirompente desiderio di essere eccentrici. Tutti erano sopra le righe e sull’orlo di un esaurimento nervoso, tenuto a freno da decine di sigarette fumate compulsivamente all'aperto come al chiuso.
Comincia con questo “C’era una volta” l’esordio nella regia della sceneggiatrice Maya Forbes, che dopo aver servito le storie e il talento di altri, ha realizzato il sogno di fare un film pieno di calore, personalissimo e artigianale sul momento in cui, a soli sei anni, vide il suo mondo implodere.

Anche se gioioso e vivace sia nei toni che nella rappresentazione di un disordine picaresco fra genio e sregolatezza, Teneramente folle è la radiografia di una famiglia alle prese con una malattia mentale di difficilissima gestione: il bipolarismo. Certo, la Forbes si premura di non varcare mai i confini della tragicommedia, ridimensionando il dramma dell’iracondo papà Cam ogni volta che il film accenna ad assumere i contorni dell'ennesima analisi quasi clinica di un contesto disfunzionale.

A impedirle di "entrare nella modalità" del family movie melenso e furbo è la verità dei fatti, che insieme alla collocazione della vicenda nei camp e liberi Seventies rende questa commistione di dolce e amaro spontanea e gioisamente anarchica. Sicuramente anche coraggiosa, nella misura in cui difende la libera scelta di affidare l’educazione di due figlie preadolescenti a un maniaco depressivo e sostiene che in una famiglia i ruoli possano essere ridistribuiti, generando equilibri più proficui.

Antologia dell’imbarazzo provocato da un padre fuori dagli schemi, difesa orgogliosa del caos e messa in pratica di un ipotetico manuale di istruzioni per alienarsi le simpatie di chiunque, Teneramente folle sta molto dalla parte dei figli, rivendicando i diritti dei più piccoli a poter vivere serenamente l’infanzia e difendendone riottosità e inaspettata maturità.
Allo stesso modo Maya Forbes ci tiene a privilegiare l’affetto e la giocosità degli adulti, più genitori quando trascorrono una notte a confezionare un costume da ballerina di Flamenco di quando tornano tardi dall’ufficio con le tasche piene di dollari.

A proposito di dollari, l’opera prima della sceneggiatrice di Mostri contro alieni non è sorretta da un robusto budget, ma questo non le ha impedito di curare musica, montaggio, fotografia e scenografia, che insieme aiutano a generare un’impressione di continuo movimento, di inarrestabile energia.
E poi c’è la tensione interna al racconto, dominato da un personaggio-bomba che rischia di esplodere quasi a ogni fotogramma, ora con una crisi isterica, ora con un'inconsalabile fase down.

Infine, seppure in sordina, Teneramente folle è il film di un ex ragazzina ricca che sa che i soldi non fanno da soli la felicità, ma contribuiscono alla reale opportunità di avere una buona istruzione per affacciarsi senza drammi nel mondo del lavoro, universo che, ora come quarant'anni fa, accoglie con maggiore benevolenza studenti referenziati e donne senza figli, dal New England al Texas.

Un discorso a parte merita Mark Ruffalo. Che dire di lui? E’ semplicemente perfetto, come sempre d’altronde. In molti lo amano, ma c’è chi si ostina ancora a vederlo come un comprimario. E allora speriamo che lo “svalvolato” Cameron lo porti dritto alla statuetta dorata, perché questa bella faccia da cinema indipendente che non disdegna di concedersi al mainstream non merita certo il destino di un DiCaprio, attore snobbato agli Oscar e tra l’altro magnificamente affiancato dal nostro in Shutter Island.
 



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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