Suffragette: recensione del film con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter e Meryl Streep

21 novembre 2015
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Il film ha aperto il Festival di Torino 2015.

Suffragette: recensione del film con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter e Meryl Streep

La regista britannica Sarah Gavron aveva raccontato otto anni fa di una ragazza alle prese con le convenzioni sociali nel quartiere indiano di Londra, in Brick Lane, tratto dal dirompente esordio letterario della britannica Monica Ali. Applica ora lo stesso sguardo indagatore sui periferici combattenti per la dignità in Suffragette, ambientato proprio nelle stesse strade dell’East End londinese, che prima di colorarsi di zafferano e curry, un secolo fa, erano il cuore della Londra working class.

Maud è una giovane ragazza, madre e moglie, che lavora come lavandaia presso una piccola realtà dickensiana, simile a molte altre figlie della seconda rivoluzione industriale. Il suo capo al lavoro la molesta, attenzione che non manca di riservare a molte sue colleghe, anche adolescenti, da molti anni. Le sue giornate sono sempre brevi, tanto quanto il tempo che riesce a dedicare al piccolo George. Un giorno le viene chiesto di consegnare un pacco e si trova casualmente coinvolta in un’azione del movimento delle suffragette, gruppo di donne dalle differenti estrazioni sociali in lotta per il diritto al voto alle donne. Un ingresso periferico, dalla porta di servizio nel vicolo, per la Gavron, che non indugia sulla più nota e rappresentativa figura storica di quel movimento, Emmeline Pankhurst, che nel film intravediamo giusto in un paio di scene irradiare il suo carisma, interpretato da Meryl Streep.

Uno dei meriti del film è proprio quello di rendere in carne, ossa e dolore la straziante situazione quotidiana di una giovane donna come tante altre, il suo essere costretta, quasi per inerzia istintiva, a impegnarsi nella lotta, in parallelo con l’ostracismo implacabile che accompagna il suo essere riconosciuta dall’ambiente intorno a lei come suffragetta. La Gavron delinea con realismo un movimento che a un secolo di distanza è ormai lontano nella memoria collettiva come un bozzetto folkloristico.

La politica appare inizialmente conciliante, come la figura storica e ambigua del primo ministro dell’epoca, Lloyd George. All’inizio sentono le ragioni del movimento, le accolgono perfino in parlamento, salvo poi rifiutare ogni possibile “deriva” che arrivi all’inopinato suffraggio universale anche femminile. Difficile vedere Suffragette con gli occhi di oggi senza essere sbalorditi dall’arretratezza - parliamo in fondo solo di un secolo fa - della visione dell’epoca. Anche qui la Gavron evita di raccontare l’occhio del ciclone, il momento in cui il movimento ottiene dei risultati, concentrandosi sull’alba della lotta, sulle prime coraggiose donne, poche decine, dalla condizione sociale trasversale.

Testimone rappresentativo dell’inevitabilità del successo a breve delle suffragette l’antagonista di Maud, l’ispettore di polizia interpretato dal solito gigante Brendan Gleeson. Prima agguerrito, poi sempre più perplesso rappresentante del riflesso condizionato con cui le istituzioni reagirono per troppi anni. Suffragette evita molti dei rischi della retorica da cinegiornale del cinema “tratto da una storia vera”, nonostante le minacciose didascalie iniziali e finali.

Una nota di merito per una delle attrici più convincenti della sua generazione, Carey Mulligan, in grado di rendere con sobria decisione, per la prima volta pienamente adulta e madre, la ribellione suo malgrado di una donna come tante altre, simbolicamente pronta a irrompere nella piccola/grande storia di quegli anni grazie alla voce di un libro, di quella cultura prima arma di persuasione di massa.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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