Sanctuary, il film diretto da Zachary Wigon, racconta la storia di Rebecca (Margaret Qualley), che lavora nel settore dell'intrattenimento sessuale come dominatrice. Hal (Christopher Abbott) è il suo miglior cliente, appartiene a una ricca famiglia proprietaria di una catena alberghiera e sta per ereditare una vera fortuna, di conseguenza non può continuare a intrattenere il legame con Rebecca, soprattutto perché lei conosce ogni suo segreto e perversione.
È così che Hal decide di farle visita un'ultima volta e dirle che non si vedranno mai più. Rebecca, però, non è d'accordo con la sua scelta e farà ogni cosa per fargli cambiare idea, rendendo il tentativo di Hal di tagliare il legami tra loro alquanto arduo. Seguirà una notte in cui giochi di potere e tensione raggiungeranno l'apice, mentre sia Rebecca che Hal cercheranno di lottare per prendere il sopravvento l'uno sull'altra...
Alla sua seconda regia, Zachary Wigon porta sul grande schermo una storia di giochi di potere e perversioni sessuali su un soggetto scritto da Micah Bloomberg. L’idea del film è nata proprio da uno scambio telefonico con lo sceneggiatore che, durante il lockdown, gli ha confessato di voler scrivere qualcosa per tenersi impegnato. Durante la conversazione i due hanno parlato di quanto fossero affascinanti i film basati sulle opere teatrali: quelli con un’unica location, molti dialoghi e il focus sulla psicologia dei personaggi. Da quel confronto la coppia ha buttato giù qualche idea: “Era un po’ che volevo fare un thriller con una dominatrice, mettendola però in una situazione paradossale. Avere, cioè, allo stesso tempo, tutto e nessun potere sul cliente. Questa rivelazione ci porta a farci domande profonde sul come e il perché certe persone si immergano negli scenari dei giochi di ruolo. Ho condiviso con Micah la bozza di un’idea e lui mi ha rivelato di aver scritto un atto unico sullo stesso tema qualche anno prima. Così abbiamo unito quegli elementi e siamo partiti da lì” - ha spiegato il regista. Una volta finito di scrivere il copione, è iniziata la ricerca dei due protagonisti: “Margaret e Chris erano i primi della mia lista. Sono entrambi giovani, ma hanno già alle spalle un portfolio eccezionale. Margaret ha letto la sceneggiatura e le è piaciuta, quindi ci siamo visti a New York per parlarne davanti a un caffè. Una delle prime cose che mi ha detto è stata che la relazione tra i personaggi le ricordava un pezzo jazz. È stato assurdo, perché anche io l’avevo pensata in maniera simile. Volevo degli attori con stili contrastanti ma complementari per quanto riguarda la loro presenza sullo schermo. Lei è volatile, tagliente, imprevedibile e questo la rende perfetta per la parte. Lui è in grado di mostrare un’emozione, ma far capire che dietro la facciata ribollono altri mille sentimenti e idee. Non so come ci riesca” - ha aggiunto Wigon. Dal punto di vista tecnico il regista ha visto il progetto come una sfida, dato che avrebbe dovuto raccontare la storia di due persone chiuse in un luogo per 90 minuti, rispettando alcuni vincoli visivi. “Due idee mi hanno aiutato ad affrontare la questione. Una è stata quella di dividere la pellicola in capitoli e dare a ognuno di essi uno stile visivo leggermente diverso, sì, ma abbastanza da renderlo distintivo. L’altra è stata quella di scegliere in quali momenti spingere al limite le possibilità della camera ai fini di un espressionismo stilistico. Con i movimenti di macchina si possono esprimere tante cose e se sono in sintonia con il ritmo della storia e delle interpretazioni, l’espressionismo visivo può stare al servizio della performance in maniera interessante” - ha dichiarato.
“Se fai qualcosa di interessante a livello psicologico, con personaggi intensi, sei in grado di attirare grandi attori e grandi interpretazioni, che, secondo me, è l’aspetto più entusiasmante del fare cinema – vedere un attore prendere il copione e portarlo in un luogo che è sia vero che inaspettato (Zachary Wigon).
Due personaggi, una stanza. Il tipo di cinema più difficile, se vogliamo, perché non deve diventare solo teatro filmato, perché i ritmi, e le parole, e i movimenti, perché tutto deve essere preciso. Impeccabile. Altrimenti tutto crolla.
Non crolla, Sanctuary. Tiene. Non è poco. Coinvolge anche.
Regge perché il copione di Micah Bloomberg (l’uomo dietro Homecoming, tra le altre cose) è teso e preciso, perché Qualley e Abbott danno corpo e calore a quelle parole. Regge perché, con qualche svolazzo di troppo, Wigon e la sua DOP Ludovica Isidori (italiana al lavoro in America) hanno trovato il modo giusto per stare addosso ai loro personaggi senza claustrofobie o morbosità. Non era scontato. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
Sanctuary: leggi la nostra recensione completa del film
Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival del 2022. I film è stato girato in soli 18 giorni.
Dal Trailer Italiano del Film:
Rebecca Marin (Margaret Qualley): Mi è piaciuta molto la scena.
Hal Porterfield (Christopher Abbott): Non è una buona idea continuare a fare questa cosa.
Rebecca: Che vuoi dire?
Rebecca: Hal! Il tuo nuovo lavoro... non saresti in grado di farlo senza quello ch ti ho insegnato.
Rebecca: C'è una telecamera nascosta nella tua suite.
Hal: Non mi va di giocare adesso!
Rebecca:Non sto giocando.
Hal: Hai filmato le nostre sessioni?!
Hal: Se lo volessi, potrei sbarazzarmi di te.
Hal: Almeno sai perché lo stai facendo o è solo un gioco?
Rebecca:Sì.
“Le ho fatto ascoltare un brano, “Spanish Key” di Miles Davis dall’album Bitches Brew. E le ho detto di volere colori molto saturi, ma niente di più”. Queste sono le indicazioni che Zachary Wigon ha dato alla direttrice della fotografia, Ludovica Isidori, per il suo film. Il regista voleva ottenere l’effetto opposto tipico, a detta sua, delle pellicole contemporanee, specie quelle indipendenti, che usano una palette desaturata. “Volevo colori forti per mettere sull’attenti lo spettatore, così come lo sono i personaggi all’interno della suite. E lei è riuscita a realizzare ogni mio desiderio; i colori risultano saturi, ma presentano anche una componente fumosa e morbida” - ha chiarito. Lo stile visivo che il regista voleva ottenere doveva scaturire dal ritmo della storia così com’è stata scritta. L’intento era quello di enfatizzare elementi impliciti o inerenti al copione attraverso l’immagine. D’altronde girare in una camera d’albergo come unica location richiedeva un impegno maggiore dal punto di vista stilistico. “Ciò che mi è piaciuto di Zach in questo film è che non si è dato tregua finché ogni ripresa e ogni scena non fossero perfette. Ambientare una storia con soli due personaggi in una suite d’hotel equivale a mettere una camicia di forza al regista, ma Zach adora dilettarsi nell’arte dell’evasione. È una storia claustrofobica e ricca di tensioni, ma lui ha insistito che ciò non voleva dire che dovessimo dipingerla su una tela piccola” - ha dichiarato Micah Bloomberg, lo sceneggiatore.
Attore | Ruolo |
---|---|
Margaret Qualley | Rebecca Marin |
Christopher Abbott | Hal Porterfield |