Personal Shopper: la recensione del film di Olivier Assayas con Kristen Stewart in concorso al Festival di Cannes 2016
Kristen Stewart, inconsapevolmente allo specchio, va alla ricerca di un fantasma, di qualcuno, di sé stessa.
In Sils Maria, Kristen Stewart era l'assistente personale di una famosa attrice, e tutto il film era giocato sul rispecchiamento indentitario della protagonista Juliette Binoche: che comprendeva anche la stessa Stewart.
Ora, in Personal Shopper, è l'americana a essere protagonista, giovane al servizio di una bizzosa diva che non incontra quasi mai, tutta impegnata a passare da un atelier d'alta moda all'altro per raccattare abiti e accessori destinati a questa misteriosa Kira. E, nel mentre, Maureen (che è anche una medium) cerca di stabilire un contatto col gemello morto da poco per una malformazione cardiaca che ha anche lei.
Sospesa quindi tra le appendici del corpo e quello che al corpo sottende, all'anima o come la si voglia chiamare, Maureen è comunque un personaggio sempre alla ricerca di qualcosa, e sempre confinata nel limbo dell'incertezza: quella presenza che sente dentro casa, è Lewis, suo fratello, o no? E che fare: cedere o no alla tentazione di provare quegli abiti meravigliosi che sfiora e valuta per conto terzi? Se si indossano i panni di un'altra, o se si fa la stand in per suo conto su un set fotografico, chi si è? Sei tu o sono io?
Sei tu o sono io? È questa la domanda, questo il cuore e il finale del film di Olivier Assayas, che gioca col genere puro, con l'horror e il thriller, alternando fantasmi e omicidi per costruire l'ennesima storia fatta di riflessi, specchi e ombre che sono quelle che abbiamo nella testa. Che Maureen ha in testa.
Fin dalle prime inquadrature del film, nella penombra gotica di una villa, il personaggio della Stewart è alla ricerca di qualcosa, e si rispecchia, si duplica senza nemmeno accorgersene nei vetri di una finestra; così come non si guarderà mai davvero allo specchio, con addosso gli abiti di lusso di Kira, ma guarderà solo un'ipotesi di sé. “Non sono io, non mi sento a mio agio così”, scriverà su una misteriosa chat sul telefonino, forse con uno spirito, forse con un killer.
Si muove in un mondo di fantasmi la Stewart, parla con loro anche quando i fantasmi sono ancora vivi, e sono tali per via della loro distrazione o della loro immanenza elettronica, dentro una chat di Skype o in una sull'iPhone. Non riesce ad afferrare o a raggiungere mai niente e nessuno, nemmeno sé stessa. Perché, in fondo, è dominata dalla paura di cercare di essere chi vorrebbe veramente, anche (o forse perché) la paura è anche desiderio.
Assayas, liquido e scorrevole come non mai con la sua macchina da presa, se ne infischia della logica e della metafisica della trama, in Personal Shopper, lasciando questioni sospese e ambiguità latenti riguardo le scene chiave del suo film. O forse no, non se infischia affatto: perché la logica interna del film è proprio quella lì, quella di una confusione identitaria, del tentativo di ricostruzione che mette in atto Maureen e che coinvolge anche noi spettatori, chiamati in causa dalla domanda e dallo sguardo in macchina di Kristen Stewart che chiudono il film.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival