O Último Azul, la recensione: un Orso d'Argento a Berlino si apre all'incanto e alla magia

16 febbraio 2025
4 di 5

Il nuovo film del brasiliano Gabriel Mascaro, premiato alla Berlinale, è il vitalissimo racconto di una donna in fuga e all'inseguimento dei suoi sogni. Un film bellissimo da vedere e con un'identità registica potente e affascinante. La recensione di O Último Azul di Federico Gironi.

O Último Azul, la recensione: un Orso d'Argento a Berlino si apre all'incanto e alla magia

A volte basta poco a capire se un film è buono. Perché basta poco a capire se il regista di turno è uno che ha qualcosa da dire - oltre che con la storia che sta andando a raccontare - anche con quello che mette sullo schermo, e nel modo in cui le cose e le persone e le azioni che inquadra e fotografa sono messe sullo schermo. E quando è iniziato O Último Azul - pure proiettato alle 9 del mattino, e senza che avessi preconcetti o aspettative - è stato facile capire che quel che il brasiliano Gabriel Mascaro aveva fatto meritava tutta la mia attenzione. Sono bastate due inquadrature iniziali, e poi dei titoli di testa in musica che, uno stacco di montaggio dopo l’altro, raccontano un mondo, uno stile, uno sguardo.

Poi arriva anche la storia, che non è meno importante, e che ancora una volta dimostra che Mascaro, pure da sceneggiatore, è refrattario al banale. Perché siamo in una zona amazzonica, in una piccola cittadina industrializzata, e seguiamo la storia di Teresa, una donna di 77 anni che lavora in un’azienda alimentare (macellazione e confezionamento di carne di alligatore). Ma questo non è il solito film naturalista, e subito ci viene spiegato che siamo in un prossimissimo futuro distopico, dove il governo ha deciso che gli anziani debbano tutti andare a finire in apposite colonie, cosicché i figli non si debbano preoccupare per loro e possano concentrarsi sul loro ruolo produttivo. Siccome Teresa non è mai stata e non ha mai avuto intenzione di gravare sulla figlia, siccome è chiaramente autonoma, e siccome questa storia della colonia - che un po’ significa il limbo prima della morte - non le va giù, inizia una personalissima e comica e psichedelica odissea all’inseguimento dei suoi sogni, o comunque della vita.

Vuole volare, Teresa, non l’ha mai fatto, ma per farlo deve navigare lungo il fiume con un contrabbandiere che la indottrina circa il potere profetico della bava azzurra di una rarissima specie di lumache. Poi incontra il pilota di ultraleggeri che potrebbe farle finalmente spiccare il volo, ma che è un incallito e inaffidabile giocatore d’azzardo, che perde tutto e si ubriaca, non prima di averle parlato di un misterioso casinò sul fiume che si chiama “Il pesce dorato”. E poi un’altra barca, una suora che forse non è una suora, e Teresa che utilizza la sua esperienza e le sue esperienze per comprarsi la libertà, che poi è la vita.

Poteva venire solo dal Sudamerica, questo O Último Azul, perché è uno di questi film (di quei libri, di quei testi) che, come da tradizione letteraria e cinematografica, non si accontenta della realtà e va alla costante ricerca dell’incanto, della magia, per citare un bel romanzo di Matteo Quaglia appena uscito per Nottetempo.
La realtà c’è, certamente, e nella storia di una politica che mira al confinamento e alla concentrazione dell’anziano, nel nome del capitale, di realtà ce n’è tanta. Ma c’è altrettanto e ancora di più incanto, un incanto che non viene solo dalle aperture psichedeliche (che sono più raccontate a parole, che mostrate), ma da una costante attenzione alla meraviglia e alla bellezza di quello che viene messo sullo schermo: foreste, anse tortuose, baracche e barconi, pesci e caimani, giovani e anziani, camionette della polizia comico-distopiche e occhi e corpi pieni di fatica e di speranza.

Mascaro è artista visuale, oltre che regista, e questo suo film ha la forza evocativa di un’installazione, della videoarte. L’ancestralità senza tempo dell'Amazzonia è il teatro perfetto, e perfettamente fotografato dal film, per raccontare una storia e un personaggio che travalicano i loro confini fisici e sono imbevuti di una vitalità irredenta e gioiosa, magica e trascinante. Bellissima da vedere e godere con gli occhi e i sensi, prima ancora che con la ragione.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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