Miss Marx: recensione del film di Susanna Nicchiarelli presentato in concorso al Festival di Venezia 2020
Eleanor Marx, figlia prediletta di Karl, è stata una figura di particolare interesse che la regista italiana Susanna Nicchiarelli ha scelto di raccontare con una ricostruzione in costume molto punk e rispettosa dal titolo Miss Marx, con una Romola Garai molto convincente.
Un primo piano molto ravvicinato, poi la camera allarga l’inquadratura e passa dal viso di una donna a dare la dimensione di quanto la sua voce, nel frattempo forte e chiara, sia rivolta a un nutrito numero di persone, familiari e compagni di lotta politica e civile. Parole ascoltate in un evento pubblico, questa volta un funerale, uno di quelli che scandiscono la vita di Eleanor Marx, figlia minore di Karl, nell’affresco biografico di una donna eccezionale come le sue contraddizioni che la regista italiana Susanna Nicchiarelli racconta in Miss Marx.
Il carisma è chiaro quindi dal primo istante, dopo ne seguiranno molti, per la preferita pargola del barbuto filosofo, economista, giornalista, politologo e molto altro, che cambiò il mondo nei decenni successivi alla sua morte teorizzando quel movimento noto come comunismo. Mentre scriveva Il Capitale, la sua opera definitiva, teneva fra le gambe la piccola Eleanor, unica figlia suddita a tutti gli effetti dell’Impero britannico, nata nel 1855. Mentre il suo sodale de il Manifesto, Engels, si dimostra in questa storia qualcosa di più che un compagno di idee politiche, ma anche un vero familiare aggiunto, una spalla anche economica cruciale per i Marx.
In un film costruito sulle contraddizioni della sua protagonista, ancora più evidenti se viste con gli occhi di oggi, sono ben evidenti anche quelle di un’élite borghese se non nobile, con case ben arredate e qualche traccia di sangue blu, a guidare il popolo definendolo proletariato e dicendogli cosa avrebbe dovuto fare. Una battaglia, quella socialista, che Eleanor porterà avanti, almeno fino a che la curatela delle opere del padre glielo consentirà, oltre a un amore per le arti, in particolare la letteratura (tradusse per prima Madame Bovary in inglese), e il teatro (la stessa cosa fece per Ibsen). Si cimentò anche con la recitazione, oltre che da drammaturga. Divisa fra le arti e la politica, quindi, perfetto soggetto per il cinema, secondo alcuni ancora capace di cambiare il mondo, per altre vie rispetto alla politica.
Un socialista e uomo di teatro era anche il suo grande amore, Edward Aveling, quello che fece emergere l’umana fragilità della donna, nell’intimità innamorata senza poter discernere usando la ragione, troppo presa dal sentimento. Mai sposati, perché lui lo era già, teorizzava l’amore libero e le mani bucate negli investimenti, troppo preso dalla sua arte e dall’impegno per sistemare le entrate con le uscite, facendosi con il tempo una nomea non certo nobile fra i compagni.
Personaggi solitari, avanguardie per ora sparute a rivendicare un movimento di massa, un nascente sogno politico per molti versi rivoluzionario e moderno, ma per altri, come per la visione del ruolo della donna, talvolta desolatamente conservatore, quantomeno nella realizzazione pratica di nobili parole. Un passaggio, quest'ultimo, notoriamente complesso per la storia del movimento comunista, mentre riguardo al peso delle donne fra i dirigenti, la dimostrazione pratica della contraddizione giunge in un’altra scena in cui la Marx parla in pubblico. Un comizio femminista pieno di passione, scandito da un palco in cui si svelano accanto i suoi compagni di lotte: tutti uomini, anziani e barbuti sosia del padre di Karl. Proprio sulle continue contrapposizioni di estremi, non sempre esplosi, ma sempre mostrati come tali, la Nicchiarelli procede nel racconto di questa donna, splendidamente interpretata da Romola Garai.
Libertà dai legami, carisma pubblico e debolezze private, esorcizzate nella bella colonna sonora da momenti musicali punk graffianti che fanno quasi da coro greco interiore della Marx. Dinamiche ancora attuali da leggere con attenzione, evitando di incorrere nell’anacronismo, non considerandoli personaggi della loro epoca. Vorrebbe dire sminuirne la portata d’innovazione, quel seme di cambiamento sociale che in seguito cambiò il mondo, senza riuscire a cambiare però il rapporto e il disequilibrio fra i sessi nella quotidianità domestica e sociale, nelle case private e nelle camere da letto.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito