Misericordia, la recensione del nuovo film di Emma Dante
Dopo Via Castellana Bandiera e il bellissimo Le sorelle Macaluso, Emma Dante torna al cinema con un film che ne conferma la passionalità viscerale, la voglia di raccontare sentimenti potenti e ancestrali, con una storia rischiosa e personale carica di vita e di disperata speranza. La recensione di Misericordia di Federico Gironi.
Quello di Emma Dante è un cinema fatto di corpi, di materia.
Di terra e di mare, terra e mare che sembrano assediare, schiacciare nella loro morsa l’umanità disgraziata che si trova tra di loro. Un cinema fatto di passioni e sentimenti profondi, ancestrali, viscerali. Roba di pancia, sempre, prima che di testa (e di testa, comunque, ce n’è tanta, non ci sbagliamo).
Lo è nelle cose che racconta, qui in Misericordia come altrove, prima, e lo è nel modo in cui le racconta.
Emma Dante gira con una irruenza istintiva, quasi primordiale, sicuramente passionale, e è capace di dare ai suoi film una vibrazione che scuote anche lo spettatore più intransigente, indifferente, magari infastidito. È capace di centrare immagini fortissime, dettagliare gesti potentissimi, far echeggiare parole semplici che portano con loro la potenza del tuono e silenzi che squarciano i timpani.
Misericordia era, è ancora, un film rischioso.
Un film appassionato e sentitissimo, nel quale Emma Dante si mette in gioco sullo schermo come mai prima d’ora, con quella dedica finale, “a Dimitri” che spezza il cuore più ancora delle note di Claudio Baglioni sparate a tutto volume.
Rischioso anche perché va a toccare tutto quello che un certo cinema italiano d’autore ha delineato come un’estetica oramai difficilmente tollerabile. Quell’estetica fatta di degrado, miseria, marginalità e disperazione, di situazioni limite, periferiche e marginali, cui spesso viene associata la presenza di animali, di preferenza ovini. L’estetica della pecora, o della capra, e della ragazza disperata.
In questo contesto, perdipiù, Emma Dante cala anche una storia di disabilità, di spietata violenza maschile, di disperata rassegnazione femminile che trova riscatto in una maternità diffusa.
C’era in Misericordia, quindi, quanto bastava a spaventarmi. Me come molto altro pubblico, suppongo. Eppure.
Eppure a Emma Dante basta pochissimo per far capire che sì, c’è la misera e la disperazione, ci sono le pecore e la disabilità, la violenza e il degrado, ma che Misericordia no, non è un film come tutti quegli altri.
Misericordia è un film fatto di terra e mare, di sangue e merda, di polvere e rottami, fango e lana, di sperma e amore.
Un film fatto di una vitalità che non accetta nessun compromesso, di colori saturi, di passioni trascinanti anche quando sono dolci. Dolci come l’amore di una donna, di una madre, di tante donne e di tante madri, per un figlio capace di mettere alla prova, esasperare, addolorare ma anche di dare la forza di fare l’impossibile.
È forse ossessivo come il suo giovane protagonista, Arturo, e come lui forse gira su sé stesso, il film di Emma Dante.
È forse disperatamente appassionato come le donne che racconta. È minaccioso come la montagna che incombe.
Ma, come quella montagna, quel luogo, quel mare, quelle donne, è un film carico di fascino e bellezza, che trasuda amore e passione, che travolge con la sua determinazione e la sua vitalità. Come Arturo, porta con sé la possibilità di una speranza.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival