Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti - la recensione

11 ottobre 2010
3.5 di 5

Apichatpong Weerasethakul è uno dei registi più coccolati da certa critica, specialmente transalpina. Il suo Tropical Malady è stato inserito tra i migliori film degli anni Zero dai Cahiers du cinema, i fan lo adorano. Ma altrettanti e altrettanto agguerriti sono spesso e volentieri i suoi detrattori.

Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti - la recensione

Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti - la recensione

Apichatpong Weerasethakul è uno dei registi più coccolati da certa critica, specialmente transalpina. Il suo Tropical Malady è stato inserito tra i migliori film degli anni Zero dai Cahiers du cinema, i fan lo adorano. Ma altrettanti e altrettanto agguerriti sono spesso e volentieri i suoi detrattori.
Perché il thailandese è uno di quei registi destinati a dividere nettamente le platee, al pari di un Lars von Trier, o di un Brillante Mendoza. E di certo questo suo Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti non farà altro che confermare e forse estremizzare le rispettive posizioni.

Weerasethakul lavora sulla forma film in maniera personalissima, provocatoria, prendendo le mosse da linee narrative lineari e quasi elementari (pur nella loro immaginatività) e giocando a complicare le cose attraverso la sottilissima introduzione di testi e sottotesti alti che spesso fanno sentire la loro presenza ma si mantengono oscuri ed ermetici.
E sia dal punto di vista formale che da quello contenutistico, Zio Boonmee lavora inseguendo un’ambiguità basata su contrasti tra placidità e nervosismo, commedia e dramma, apparenza e contenuto, sincerità e malizia, allusioni intellettuali(stiche) e dichiarate “ingenuità”.

Quello che il regista thailandese (non) chiede allo spettatore è un abbandono quasi fideistico al fluire anarchico del suo pensiero filmico, un’abdicazione della tradizionale razionalità a favore di un processo emozionale che accetti le iperboli, le ellissi, i misteri, le alternanze; i silenzi estenuanti, il panteismo accennato e il misticismo esasperato, i pesci gatto sessualizzati e le creature fantasmatiche che appaiono come Ewoks troppo cresciuti e con gli occhietti fatti da lampadine rosse.
Chiede tanto. Forse troppo. Concedendo di sicuro troppo poco in cambio.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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