Le Assaggiatrici: la recensione del film di Silvio Soldini che ha aperto il Bif&st 2025
Silvio Soldini adatta un romanzo di Rosella Pastorino e ne Le Assaggiatrici narra la storia delle donne che furono costrette ad assaggiare il cibo destinato ad Adolf Hitler. Lo fa con precisione e partecipazione, non allontanandosi mai dal racconto intimo. La recensione di Carola Proto.
Ci sono romanzi che più di altri ci parlano, ci emozionano, ci fanno sentire "a casa" anche se raccontano personaggi e situazioni che non ci assomigliano. Che siano ambientati nel presente o in un tempo lontano, ci lasciano entrare e, a chi le storie le racconta attraverso un linguaggio diverso dalla letteratura, offrono l'occasione per reinterpretare una storia o comunque restituirla attraverso il proprio sguardo. Proprio come era accaduto nel 2002 con "Ieri" di Agota Kristof, diventato Brucio nel vento, in quest'epoca di guerre "Le Assaggiatrici" ha fatto breccia nel cuore di Silvio Soldini, che ha diretto il suo primo film in costume. Come "Ieri", anche "Le Assaggiatrici" è stato scritto da una donna (Rosella Pastorino), ma questa volta anche la protagonista è donna, perché le guerre sono e restano "guerre degli uomini", e mentre gli uomini sono al fronte, le donne crescono i figli, subiscono violenza, piangono i mariti caduti sul campo di battaglia e tirano avanti, come hanno sempre fatto e sempre faranno.
Le Assaggiatrici è dunque un film femminista? Non esattamente, perché la vicenda di un pugno di ragazze di campagna costrette a ingurgitare cibo come oche da paté è la "piccola storia" che serve a narrare la "grande storia", o anche il "piccolo pennello" con cui dipingere un grande affresco. Un po’ come accadeva ne La zona di interesse, il "mostro" è vicino, anzi vicinissimo, ma si sente un animale in gabbia e sa che il suo sogno di gloria non si realizzerà, calpestato dai robusti scarponi dell’Armata Rossa. Non vediamo mai il Führer nel film di Soldini, che preferisce restare nell'intimità della narrazione. I suoi occhi sono quelli di Rosa "la berlinese", guardata con sospetto dalle altre e poi accettata perché compagna di sventura.
Si gioca quasi tutto intorno a un tavolo da pranzo Le Assaggiatrici, fra la paura delle protagoniste di essere avvelenate e una sorellanza che si fa sempre più forte. Controllate a vista, diventano pian piano un nucleo compatto, mentre fuori il tempo scorre e una stagione lascia spazio alla successiva. Silvio Soldini lavora sul tempo del film e nel film, concentrandosi sulla progressiva presa di coscienza dell’orrore perpetrato dal Nazismo. Mentre le posate si muovono rapide sui piatti di ceramica, l’illusione collettiva si prepara a svanire, e ancora una volta alle donne viene chiesto di stare zitte.
Non è un film di primi piani Le Assaggiatrici, ma di inquadrature in cui i personaggi femminili, ripresi in gruppo, sembrano premere sui bordi dell’inquadratura come a dire: "Ma che ci faccio qui?", anche se l’organizzazione dello spazio filmico è perfetta. In quello spazio i dettagli sono importanti, e non per una ricerca ossessiva di perfezione ma perché ogni cosa ha un valore simbolico e partecipa al mood del film, che, nonostante sia parlato in tedesco, mette in scena anche l'emozione e la verità, e la verità significa credere alle donne che 80 anni fa sono state delle cavie.
Se inizialmente Le Assaggiatrici sono un amalgama di personalità, pian piano ognuna acquista tratti distintivi ben precisi, chiamando all’identificazione e portandoci a riflettere sulle dinamiche oppressive passate e attuali, su dolorosi corsi e ricorsi storici. E tuttavia, anche in un momento nerissimo come la fine dell’impero di Adolf Hitler, il cuore trova le sue strade. Accade così che Rosa la berlinese (Elisa Schlott) viva una parentesi amorosa con un ufficiale delle SS (che per un istante sembra anche lui vittima della guerra. La delicatezza con cui Silvio Soldini racconta questa passione, che altro non è se non un modo per fermare la morte, è sorprendente e ci ricorda un cinema che fa della partecipazione emotiva e della leggerezza i suoi punti di forza. In un film che si sofferma, tra le altre cose, sui bisogni primari e secondari degli individui, questo "calore" si traduce in un invito a non cedere all’indifferenza e a non dimenticare la follia di un leader che una serie di loschi signori dell'oggi inevitabilmente ci rammentano. Non bisogna insomma dimenticare, perché dimenticare, nel nostro caso è come accettare l'oppressione e dichiarare guerra all'empatia.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali