La petite: la recensione del film francese con Fabrice Luchini
Diretto da Guillaume Nicloux, che questa volta gira un film tradizionalissimo, La petite parla di temi etici di grande attualità azzerando la politica e esaltando il sentimento umano. Luchini, ovviamente, è il grande mattatore di tutta l'operazione. La recensione di La petite di Federico Gironi.
La petite è prima di tutto un film con Fabrice Luchini, l’ennesimo nel quale questo vero e proprio monumento del cinema francese contemporaneo, amatissimo in patria ma anche all’estero, si trova nei panni di un personaggio che è (o ha reso) aderente alla sua immagine pubblica in maniera meticolosa e sartoriale, che gli dà l’occasione di mettere in scena quel suo mix inconfondibile di malinconia e comicità sotto alle quali, sempre cova qualcosa di sulfureo e di instabile.
In questo caso il personaggio è quello di Joseph, ebanista in pensione che riceve la notizia che il figlio e il suo compagno sono morti in un incidente aereo, e che sfidando le opinioni discordanti dei consuoceri e della figlia, decide di partire per il Belgio, dove vive la madre surrogata (mère porteuse, in francese) che ha in grembo la bambina (La petite del titolo) generata dagli spermatozoi di suo figlio, per evitare che venga data in adozione e non la si veda mai e mai più nella vita.
Quindi, a questo punto, è facile capire che La petite è anche un film che parla di questioni etiche di grande e controversa attualità, come appunto quella della maternità surrogata.
Il fatto, però, è che Guillaume Nicloux, regista e sceneggiatore, su queste questioni lavora in maniera molto diversa da quella che ci si potrebbe aspettare, equalizzando il suo film di modo da azzerare il rumore di fondo della politica, della questione pubblica, del dibattito nella collettività, e invece esaltando i toni semplici e puliti del sentimento umano, di un legame familiare che sì, tiene conto della biologia e del “sangue”, ma che si apre costantemente a nuove accezioni, a varie inclusioni.
Nicloux sorprende, non solo per questa scelta, ma anche perché - lui che ci aveva abituati a un cinema tutt’altro che lineare e tradizionale - qui gira un film classico e dritto come un fuso, tutto al servizio della storia che racconta, dei sentimenti che evoca, dei personaggi che lo animano e degli attori che lo interpretano.
Luchini fa quello che deve fare con la professionalità e il talento che ci si aspetta, porta avanti il film con l’incedere lento ma mai rassegnato del suo personaggio, ci accompagna alla scoperta di altri luoghi, altre famiglie e altri lati di Joseph (un Joseph che si concede anche un’ubriacatura, e un rapporto sessuale occasionale).
Soprattutto, ci porta alla scoperta della ruvida e vitale e contraddittoria Rita della convincente Mara Taquin, la mère porteuse, nella quale, dopo un lungo assedio e con grande determinazione, sarà in grado di far breccia. Almeno fino a un certo punto.
Quello di La petite è un cinema magari un po’ anziano, ma niente affatto senile, nel quale la vicenda complessa (anche dal punto di vista burocratico) di Joseph viene raccontata con un tono di realismo sempre vagamente contaminato dal fiabesco, e dove la conclusione della storia di quest’uomo ferito dai lutti della vita, di una giovane donna provata dalle asperità della stessa, e di una bambina che ancora deve fare esperienza di tutto questo, non può che essere quella, scontata, dove si cede alla dolcezza del lieto fine senza eccessivi infiorettamenti, ma conservando il gusto agro del pudore, e dell’incertezza.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival