La guerra dei cafoni: recensione della favola allegorica di Davide Barletti e Lorenzo Conte

27 aprile 2017
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In una Puglia rurale e incontaminata due giovani bande rivali si fronteggiano in una guerra simbolica.

La guerra dei cafoni: recensione della favola allegorica di Davide Barletti e Lorenzo Conte

Negli anni ’70, d’estate, al mare, si bighellonava, si andava in bicicletta, si guidavano le moto Morini e ci si dava battaglia, immaginandosi guerrieri di bande rivali armate di bastoni di legno o intenzionate a sfidarsi a partite di flipper. All’epoca, si indossavano calzoncini all’inglese e i genitori preferivano non immischiarsi nelle faccende dei figli. Negli anni ’70, non solo d’estate, l’Italia era un paese diverso da quello attuale. Anche la Puglia era una terra diversa, una zona di frontiera, certo, ma più ancestrale e chiusa, perché ancora lontana dal risveglio e dall’incontro con l’altro da sé a cui nel ’91 l’avrebbe portata l’arrivo della nave Vlora.

Proprio questa versione, non incontaminata ma comunque isolata e rurale, della regione di Bari e Lecce è l’ambientazione che Lorenzo Conte e Davide Barletti hanno scelto per il loro nuovo film, trasformandola in un luogo metafisico ed evocativo dove  - nel 1975 - una truppa di figli di papà (i Signori) combatte contro un esercito di straccioni (i Cafoni) in nome di un classismo atavico, di un’ingiusta abitudine radicata fin da un immaginario tempo antico in cui si parlava addirittura in greco-bizantino. Che il posto dovesse essere immaginario era ovvio, perché ai registi premeva di raccontare una favola magica con un valore allegorico, anche se ognuno è libero di prendere La guerra dei cafoni semplicemente come una variante de La guerra dei bottoni o come una rappresentazione del passaggio dall’infanzia all’età adulta che ci fa pensare al miglior Stephen King.

Però Barletti e Conte non avevano in mente solo un romanzo di formazione che partisse magari da un’esigenza di crescita personale, perché il territorio che nel nome Terramatta ci riporta a una specie di Medioevo e alle chanson de geste, ci riconduce in realtà - insieme all’Ape Piaggio - a tempi più recenti, al momento in cui (secondo Pasolini) si sono mescolate le carte e la lotta di classe è cambiata.

E’ una lettura impegnata, non c’è dubbio, che possiamo fare o non fare mentre l’antipatico Francisco Marinho detto Maligno sfida il morto di fame Scaleno e a sparigliare le carte arriva il meccanico Cuggino, rappresentante forse di quella ossessione per il possesso, di quel consumismo che ci ha portati fatalmente verso la rovina morale. Noi in realtà non ci avevamo pensato agli Anni di Piombo, stregati dall’atmosfera sospesa del film e da quella magia che solo portatori di verità come gli attori non professionisti sanno creare, in un miscuglio di scoppi di esuberanza e timidi sorrisi e di dialetti uno più musicale dell’altro.

A essere onesti, a non vedere nemmeno un genitore, non ci è venuto in mente che quei ragazzini non fossero solo Tonino, Sabbrina, Mela, eccetera. Troppo spontanei per essere degli archetipi, per noi conservano sempre, fra boschi e lagune fortunatamente lontani da trulli e masserie, una tenerezza infantile, accanto a una lucidità che li rende migliori dei grandi, che difficilmente cambiano idea e vanno avanti come bulldozer.

Tratto dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis, La guerra del cafoni costituisce un unicum nel giovane cinema italiano, una bella fusione fra epica e avventura, poesia e riflessione profonda che può parlare a qualsiasi tipo di pubblico.

La guerra dei cafoni è stato presentato in anteprima mondiale al Bari International Film Festival 2017



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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