La corrispondenza: recensione del film di Giuseppe Tornatore

12 gennaio 2016
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Sotto il racconto di una storia d'amore, il regista di Bagheria parla ancora, e sempre, di cinema.

La corrispondenza: recensione del film di Giuseppe Tornatore

Lui, Giuseppe Tornatore, dice di no; perlomeno pubblicamente. Per cui quelle che seguono possono essere considerate tranquillamente le solite elucubrazioni dei critici che vedono quello che vogliono vedere. Però proprio non riesco a non vedere nel discorso che La corrispondenza porta avanti – e che viene esplicitato nella chiusa della tesi che laurea con lode in astrofisica la Amy interpretata da Olga Kurylenko – qualcosa che ha una relazione stretta e profonda con il cinema, e l'idea che del cinema ha il regista di Bagheria.

Semplificando un po', Amy parla di come il dialogo con le stelle e gli astri del cosmo profondo sia un dialogo con qualcosa che è già morto, ma la cui luce - la cui vita - continua ad arrivare fino a noi anche dopo il loro spegnimento. Se, ovviamente, a un livello immediato questo discorso è metafora del rapporto (e della corrispondenza, appunto) della ragazza con Ed - il più attempato professore di cui è stata fedele amante e grande amore per sei anni, che ha il volto di Jeremy Irons - il film di Tornatore è punteggiato da momenti e dettagli tutt'altro che casuali, che non possono non applicarlo al cinema stesso.

Basta pensare che, assieme a messaggi whatsapp, a mail e sms, oltre che a un buon numero di lettere tradizionali, la corrispondenza tra Amy e Ed avviene sopratutto attraverso Skype prima e i video registrati da lui poi. Video digitali (come digitale è tutto La corrispondenza, guarda un po'), che sfidano lo spazio e il tempo, che aspirano all'eternità, ma che rischiano la dissoluzione, lo spixellamento che li dissolve, il lento bruciare del supporto di un dvd gettato rabbiosamente nel fuoco. Immagini potenzialmente eterne, intrinsecamente fragilissime, metafora di un cinema (nuovo, eppure sempre antico, altro paradosso) che rischia di morire ma che esisterà per sempre nell'occhio, nella retina e nella mente di chi guarda e ama.

È qui, e non solo in quello sentimentale della storia d'amore tra Amy e Ed, che galoppa libero il romanticismo estremo e ridondante, ma sincero, di Giuseppe Tornatore, che ancora una volta, come ne La migliore offerta, accumula passioni e sovrapposizioni; comprimendole ancor di più dentro una forma quasi discreta e controllata  che, per un regista come lui, appare quasi minimalista. Il romanticismo di chi non si vuole rassegnare alla (possibile) dissoluzione di un'immagine (cinematografica e amorosa) che è vita anche dopo la morte.

Ha qualcosa di tenero, la passione di Tornatore, la sua fiducia nel mezzo e nel racconto del cinema, di malinconicamente autunnale come le location (splendide) del suo film: una Scozia quasi sempre grigia e vagamente piovosa, l'Isola di San Giulio nel Lago d'Orta, in Piemonte. Così come lo hanno quel look così classico, così demodé, quel linguaggio ostentatamente letterario nonostante l'uso e l'abuso della tecnologia, quel certo pudore che tocca anche i movimenti della macchina da presa.

Se anche allora il cinema che è morto e che ci parla ancora, per farsi magari capire meglio, è quello di Peppuccio Tornatore e de La corrispondenza, poco male: o anzi, meglio ancora. Lo ascoltiamo volentieri nel suo molle romanticisimo forse un po' naif, nonostante le lungaggini eccessive, le punteggiature metempsicotiche fuori registro e certe ovvietà sulle pulsioni esorcistiche di morte di una Amy che viene raccontata nel cuore (l'amore), nella mente (lo studio) e anche nel corpo (il lavoro da stunt-woman).



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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