Inherit the Viper: la recensione del crime thriller con Josh Hartnett
Il regista svizzero Anthony Jerjen guarda al sogno americano in Inherit the Viper, noir con Josh Hartnett che racconta la crisi di una famiglia e l'epidemia degli oppiacei.
Risponde a un cellulare pieghevole dell'epoca pre-smartphone la ragazza senza cuore Josie Conley nel crime-thriller Inherit the Viper, quindi la cupa vicenda della famiglia a cui la giovane donna appartiene potrebbe svolgersi nei primi anni Duemila. Però, nella regione degli Appalachi che fa da sfondo al primo lungometraggio di Anthony Jerjen, il tempo sembra essersi fermato da decenni, e quindi potremmo trovarci negli anni '90, negli '80 o addirittura nei 70, come suggerisce una fotografia sporca e atmosfere che rimandano direttamente a Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! o a Il braccio violento della legge, per ammissione dello stesso regista. Ora, è proprio in questa atemporalità che, in fondo, sta il fascino di un film che gioca con una certa iconografia USA, in particolare con l'immagine della grande America che ha attraversato l'Oceano arrivando fino in Svizzera, dove Jerjen è nato ed è cresciuto, nutrendosi di cultura letteraria e cinematografica a stelle e strisce. Ciò che accade, e che viene mostrato, è dunque la risultante di uno sguardo da lontano, uno sguardo non distaccato, certo, e men che meno disincantato, ma preciso e consapevole di cosa sia diventato oggi il sogno americano, ammesso che esista ancora.
Non cerca la denuncia politica Jerjen, non giudica né condanna, piuttosto esprime giusto stupore di fronte all'epidemia di farmaci oppioidi che sta mettendo in ginocchio la middle-class del paese della Statua della Libertà, quella middle-class che il recente rampantismo economico e la crisi del 2008 hanno reso sempre più povera e insicura. Alle persone che ne fanno parte, magari per un incidente o un semplice mal di schiena, i medici hanno prescritto antidolorifici oppiacei, trasformando la cura in un potente anestetico contro l'angoscia e poi in una feroce dipendenza. Sarebbe allora gusto dire che, in Inherit the Viper, il sogno diventa ovattata allucinazione, prodigioso oblio che scivola inesorabilmente nella morte per overdose. Ed è con una morte che comincia il film, che ci immerge nella vita criminale dei Conley, che non sono meno dannosi del clan dei Gerhardt della seconda stagione di Fargo (collocata temporalmente nel 1979), ma appaiono fiaccati dall'esistenza e in perenne guerra con se stessi e con gli altri. E’ soprattutto esplorare le dinamiche di questo nucleo senza genitori e di soli fratelli che interessa al regista, nucleo che, molto shakespearianamente, non riesce ad abbandonare una strada obbligata o un destino nefasto. Fra la temibile Josie (Margarita Levieva), assuefatta non alle droghe ma al potere e al denaro, il giovane Boots (Owen Teague) che vorrebbe lavorare in proprio e l'ex veterano di guerra Kip che aspetta un bambino, la redenzione può arrivare solo da quest'ultimo, proprio in nome di quella pseudo-tranquillità piccolo-borghese che in un mondo spietato e vinto appare come l'Eldorado.
Hanno solo 88 minuti Kip e gli altri personaggi del film per evolvere o restare uguali a se stessi, e dispiace che non tutti abbiano uguale spessore o una scena in cui vulnerabilità e incertezze escono fuori con prepotenza, e forse qualche informazione supplementare sul loro passato avrebbe reso il racconto più movimentato e drammatico, ma Anthony Jerjen lascia che a parlare siano i silenzi, le crisi di coscienza, i discorsi del vecchio proprietario di un bar con il volto di Bruce Dern e gli occhi tristi di Josh Hartnett, un attore che fa sempre piacere ritrovare e che qui, con sobrietà e misura, aderisce perfettamente al personaggio. E comunque il suo Kip, insieme alla restante umanità di Inherit the Viper, ha un valore fortemente archetipico e fa parte della cattiva razza di coloro che fanno del male perché non hanno altra scelta. In realtà una possibilità esiste per alcuni di loro: tagliare un braccio prima che l'intero corpo venga infettato dal veleno, ma non tutti sono disposti a pagare questo prezzo nell'immutabile provincia del Midwest dove si rischia di morire di noia e di disperazione se non ci si sballa.
Questa presa di coscienza, lo ripetiamo, rimane relegata sullo sfondo, stemperata dall'obbedienza alle regole anche estetiche del genere, a cui si guarda forse con eccessivo ossequioso rispetto, facendo un passo indietro più che un balzo in avanti e lasciando allo spettatore il compito di unire i puntini ed eventualmente di tenersi alla larga da un sistema sempre più al collasso.
Intherit the Viper è stato presentato in anteprima nazionale al Bari International Film Festival 2020
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali