Fuori: la recensione del film di Mario Martone su Goliarda Sapienza in concorso a Cannes
Un'estate nella vita di Goliarda Sapienza proprio quando scrivendo da anni L'arte della gioia passa alcuni mesi in carcere. Fuori è stato presentato in concorso al Festival di Cannes. La recensione di Mauro Donzelli del film di Mario Martone.
Fuori è un film che oscilla: fra dentro e Fuori, salotti letterari e celle solidali. Si muove sospeso, spesso trattiene il fiato come la sua protagonista, con gli occhi persi pronti a catturare qualcosa con lo sguardo un po’ più in là. È il tratto distintivo della scrittrice, in cerca di una storia in ogni fase del quotidiano, mentre porta con insicurezza un nome antico, Goliarda Sapienza. La seguiamo in pochi mesi del 1980. Ha oltre cinquant’anni, ma è al centro di una storia di formazione, un ennesimo ricalibrare e ritoccare la sua vita come fossero le bozze sempre in sospeso del suo romanzo/universo, L’arte della gioia.
Le porta sempre con sé, con i fogli arricciati e pieni di correzioni, mentre passa una calda estate romana insieme alle donne che le hanno cambiato la vita, le compagne di braccio e di cella di Rebibbia, dove è finita per alcuni mesi dopo un furto di gioielli. Per ripicca o necessità, anche se ci piace pensare per rispondere un vaffanculo con stile a una delle bidimensionali padrone di casa e di salotti intellettuali, vocianti e ipocriti, in cui ha passato anni di serate in cerca di amicizia o solo solidarietà. Valeria Golino è ormai così posseduta da questo personaggio, reduce dal suo adattamento in miniserie de L'arte della gioia, da riuscire senza troppe parole a rendere la giocosa eppure impaurita permeabilità agli incontri di Goliarda Sapienza.
Proprio quell’amicizia che irrompe improvvisa e inattesa nella sua vita, nel luogo meno atteso, brutale e sottoposta a riti di iniziazione, ma alla fine sincera, durante le giornate di socializzazione imposte del carcere. Un dentro in cui sente - la banalità dei sentimenti - pienamente libera. È proprio quando esce, insieme alle sue più intime sodali, che il film regala i momenti migliori, mentre malinconia e sensazione di onnipotenza si alternano in una Roma quasi onirica, che si fa più docile, e la sospensione del tempo che ha permesso un avvicinamento a queste donne “dietro le sbarre” lascia lo spazio alla vita di fuori, che mette alla prova amicizia e capacità di reinventarsi. Martone si impadronisce di questa geometrica contraddizione fra luoghi chiusi e cuori aperti, riuscendo a far "abitare" con intrigante ellettricità alle tre amiche un luogo tanto sognato, il fuori, come nel caso di una profumeria, primo mattone di un riscatto per il personaggio interpretato (bene) da Elodie. Un rifugio intimo, in cui sentirsi libere di nuovo, per scambiarsi confidenze come a Rebibbia, ritualizzando la loro amicizia in una doccia purificatrice dalle timidezze e dalle inibizioni.
È con Roberta, in particolare, che Goliarda instaura un legame intenso e indefinibile, fra il materno e l’incestuoso, la scrittrice e la ragazza di borgata capace di smuovere l’immobilismo di una scrittrice e del suo romanzo non pubblicato. Roberta, una magnifica Matilda De Angelis, mai così convincente, è una piccola delinquente assai recidiva e tentata dall’attivismo politico, in anni in cui il profumo della polvere da sparo e del terrorismo raggiungeva molti ambienti, specie popolari e proletari.
L’arte della gioia, quella condivisa come mai prima, senza sovrastrutture o seconde intenzioni. Potrebbe essere il titolo anche di questa storia, ispirata a due libri della scrittrice, L’università di Rebibbia, che racconta il dentro, e La certezza del dubbio, il fuori. La gioia di un rapporto intenso e incompreso all’esterno, come tale fonte di un’ebbrezza particolare, figlia della sua unicità, disinteressata all’ostilità dei baroni della cultura, quelli che hanno costretto Sapienza al successo postumo, diventando in pochi anni un classico moderno.
Per una sintesi di queste ostilità, e del tanto invocato patriarcato impermeabile, basta rimanere per i titoli di coda e “godersi” uno dei momenti più horror della stagione, con intellettuali incanutiti che ridacchiano e considerano trasparente Sapienza durante un suo intervento televisivo, in un programma condotto da Enzo Biaggi, in cui parla, con cognizione di causa, della prigione e del suo effetto catartico per sé e (potenzialmente) per la società.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito