Forza maggiore - la recensione del film di Ruben Östlund
Elegante nella forma, chirurgico nel contenuto, uno dei titoli migliori del Certain Regard 2014.
Di certo, pensando a un film nel quale una famiglia vede frantumate felicità e certezze in seguito ad un evento traumatico che apre la loro settimana bianca, lo svedese Ruben Östlund non può non aver pensato al lavoro dell'illustre connazionale Ingmar Bergman.
Ma di certo Forza maggiore non è un film assimilabile a quelli del maestro scandinavo: e non si tratta di valutazioni di merito né in una direzione né in un'altra.
Östlund, che già in passato aveva dimostrato il suo valore, gira un film dallo stile modernissimo, elegante, geometrico. La sua fotografia è calda eppure algida al tempo stesso, perfetto esempio di messa a fuoco emotiva per raccontare una storia dove non è tanto la famiglia oggetto di disgregazione e sfaldamento, quanto soprattutto il modello maschile, esposto impietosamente nelle sue fragilità, nelle sue contraddizioni, nei suoi infantilismi.
Perché il mondo dei protagonisti di Forza maggiore inizia a sfaldarsi quando, di fronte alla possibilità di una valanga, l'aitante padre di famiglia fugge via, lasciando soli figli e moglie: la quale, giustamente, si risente.
Scandinavo fino al midollo (e non solo svedese, tanto più che la lei del film è norvegese, come il miglior amico di lui) nella descrizione di modelli familiari, relazionali, genitoriali che vengono messi regolarmente alla berlina nella loro autoimposta moderazione e correttezza politica, il film di Östlund è in grado di farsi universale quando inizia a contrapporre i suoi protagonisti, il maschile e il femminile, i ruoli che socialmente sono portati a pensare di dover avere.
Gli uomini in primissimo luogo.
Non si pensi però di andare incontro a cupe pesantezze: perché in questo senso è più legittimo pensare ad Allen che non a Bergman. Forza maggiore è capace di momenti esilaranti, giocando sempre (anche di fronte alle tensioni emotive più accentuate) con ironia, sarcasmo e assurdo.
Il contrasto di questo materiale caldo con il rigore di una forma attentamente costruita, che gioca con lentezze, distanze, prospettive e si concede pochi ma significativi movimenti di macchina, genera allora una reazione capace di intrigare e appassionare, e di rispecchiare dinamiche e conclusioni narrative.
Perché alla crisi si risponde con un ristabilirsi artificioso ma riassestato delle parti, dove la donna continua a portare avanti il suo ruolo protettivo e l'uomo asseconda sardonico, libero di potersi concedere una pausa sigaretta e seguire (rassicurante e rilassato assieme) l'evolversi degli eventi.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival