Elemental, la recensione del poetico film di animazione Pixar
È una Pixar decisamente in forma quella che ci culla con le immagini e la storia d'amore trascinanti in Elemental: ecco la nostra recensione, scritta dopo che ci siamo asciugati qualche più che furtiva lacrima.
Lei è Ember, figlia di un immigrato dalla Terra del Fuoco a Fire Town, poco lontano da Elemental City, dove invece vive Wade, ispettore idraulico. Ember si prepara a ereditare la bottega del babbo, che ha compiuto mille sacrifici e ha voltato le spalle alla sua terra natìa per un futuro migliore. Wade vive sereno con una famiglia empatica tanto quanto lui, e prende la vita come viene, col sorriso. Ember è fatta di fuoco. Wade è fatto di acqua. Amarsi non sarà una passeggiata.
Anche se Elemental è il secondo lungometraggio firmato da Peter Sohn, dopo Il viaggio di Arlo (2015) che in realtà rimaneggiò e condusse in porto all'abbandono di Bob Peterson, è sicuramente il primo film "suo": dopo vent'anni alla Pixar (entrò come story artist per Alla ricerca di Nemo), Sohn corona il suo percorso professionale onorando i suoi genitori, coreani immigrati nel Bronx. Una vita espiantata, della quale un figlio sente l'eco nella tenacia con cui chi emigra deve dare un senso a una delle decisioni più difficili che si possano prendere. La tenacia dei genitori può però assumere un'aura sacrale, dogmatica, da non mettere in discussione, seppellendo l'identità delle seconde generazioni, timorose di seguire sogni diversi da quelli di papà e mamma. No, non è un racconto di certo nuovo per la Pixar o per la Disney: le aspettative dei genitori alla ricerca del compromesso con figli e figlie, nel contesto di una naturalizzazione complessa o nel conflitto tra culture, riecheggiano del recente Red. In parte c'erano anche in Luca e - in casa Walt Disney Animation Studios - nell'ultimo Strange World e in un certo senso nell'ottimo Encanto.
È vero che la Pixar ci aveva abituati negli anni a storie originali e stimolanti, ma è anche vero che nessuno ci ha mai impedito nel corso di decenni di decretare con merito lo status di capolavori per le classiche fiabe Disney, che sono state spesso variazioni sul tema di valori e situazioni ataviche, fiabesche. Se avessimo decantato morto lo stereotipo della "Principessa Disney", per esempio, Frozen non avrebbe mai avuto il tempo di reinterpretarlo. È altrettanto probabile che ogni epoca abbia in determinate culture, nel caso specifico quella americana, esigenze fiabesche specifiche: un luogo narrativo attuale è la necessità della convivenza senza odi e conflitti, e viviamo dopotutto nell'epoca della polarizzazione a oltranza, chiave dell'engagement facile sui social e motori di ricerca. La questione emigrazione / immigrazione (qui con la sfumatura della calamità naturale che la causa) rimarrà inoltre al centro del dibattito pubblico per molto tempo ancora. La Disney / Pixar sta definendo negli ultimi anni i canoni della sua nuova "fiaba allargata", li segue e li modella lungo un percorso privato dei suoi autori, arricchito da suggestioni ancora più antiche (in Elemental ovviamente c'è Romeo e Giulietta).
Ma se uno spettatore d'esperienza è in grado, di fronte a una scena, di prevedere grossomodo la successiva, dove può essere il valore di un film come Elemental? Per quanto ci riguarda, nella stupefacente perfezione cristallina dell'esecuzione. Una motivazione che, ci rendiamo conto, potrà poco per chi preferisca legittimamente scindere la forma dalla sostanza. Nel caso di Elemental, tuttavia, la troviamo un'operazione alchemica faticosa, perché non siamo di fronte a un film che cerca la complessità, anzi: i due protagonisti svettano nettamente sul resto del cast, manca un cattivo, e nella costruzione della storia a conti fatti accade molto poco. Elemental è puro cinema ridotto ai suoi "elementi" primari: in virtù di questa semplicità, Sohn e gli sceneggiatori John Hoberg, Kat Likkel e Brenda Hsueh ci presentano un mondo da abitare con due guide, Ember e Wade, osservandole quasi costantemente, mettendole al centro di tutta l'emotività come di rado accade in cartoon più complessi e più affollati. E, se ci facciamo mente locale, accade di rado anche in troppi blockbuster moderni dal vero.
C'è una scommessa in questa essenzialità: la cura grafica e tecnica di Elemental è di un'eleganza paurosa e fa sì che Ember e Wade non ci siano bastati mai. Non è la spettacolarità ultrasperimentale e funambolesca di Spider-Man Across the Spider-Verse, è una ricerca sottile che espande i mezzi per un semplice fine espressivo simbolico: quella che nel mondo dei cartoon viene definita "animazione degli effetti" (di elementi o particelle, appunto) diventa animazione dei personaggi, in una metamorfosi che si corre il rischio di sminuire solo perché tutto in questo delicato film sembra facile da raccontare e scontato da mettere in scena. Non è questione di facilità o di sfoggio di bravura: il traguardo è la naturalezza. Il lavoro estenuante di ricerca estetica nella luce, nei colori, nelle scenografie e nel character design, con un occhio alla propria tradizione e un altro a Miyazaki, è un ricamo di equilibrio e di sicurezza invidiabile. Nel bisogno di connessione reale, tangibile, fisica con le proprie creazioni. Un desiderio dal quale è meraviglioso farsi contagiare. Elemental non sarà di certo un film che guarda avanti e che porta l'animazione verso nuove frontiere, come la Pixar aveva fatto in passato. Non lo negheremo. Ma da lassù i grandi della Disney dell'epoca d'oro, se stanno guardando Elemental, si staranno asciugando le lacrime come abbiamo fatto noi. Perché questo era il loro Santo Graal. La padronanza del mezzo animato per evocare creature fantastiche credibili come un essere vivente nel quale potremmo imbatterci qui, nella banalissima realtà.
La chiamavano "the illusion of life". L'illusione della vita.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"