Doctor Strange: la recensione del film Marvel con Benedict Cumberbatch

25 ottobre 2016
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Il maestro delle arti mistiche creato da Stan Lee e Steve Ditko nel 1963 arriva finalmente sullo schermo in una bella versione.

Doctor Strange: la recensione del film Marvel con Benedict Cumberbatch

Quando uno scopre i fumetti Marvel si immerge in un universo in cui tutto è possibile e abbraccia un mondo che ha bisogno di supereroi che lo difendano dalla costante minaccia di potentissimi supercattivi. Come gli antichi dei, gli eroi creati da Stan Lee, Steve Ditko, Jack Kirby e altri magnifici pionieri si amano, si odiano, litigano, si combattono, si innamorano di esseri umani. E come i Titani che si ribellarono all’Olimpo, i mostruosi Cattivi di questo universo cercano costantemente di detronizzarli. Non è certo un caso l’inserimento degli Dei di Asgard o di creature come Submarine nel pantheon dei supereroi “umani”: i fumetti Marvel sono figli del loro tempo e molto meno ingenui di quanto possa sembrare. I migliori film che ne sono stati tratti hanno colto entrambi gli aspetti, quello mitologico/colto e quello pop, colorato e logorroico.

Mancava fino ad ora nell’universo cinematografico un personaggio particolare come il Doctor Strange, che introduce in questo variegato panorama le arti mistiche, la meditazione, le arti marziali e i concetti di corpo astrale, dominio della mente sul corpo e dimensioni plurime tanto cari a quelle dottrine orientali che proprio negli anni Sessanta diventarono parte integrante della controcultura americana. Il film di Scott Derrickson scherza su queste manie, di fronte alle quali l’uomo di scienza, il brillante e arrogante neurochirurgo Stephen Strange, rimasto privo dell’uso delle sue (magiche mani), è, prima della conversione, completamente scettico.

I mondi fantastici e caleidoscopici che Strange scopre sotto la guida dell’Antico sono stati all’epoca associati all’uso di droghe allucinogene, spesso citate nel film e nel cammeo di un ilare Stan Lee che (spoiler) su un autobus legge “Le porte della percezione” di Aldous Huxley, uno dei testi chiave sull’argomento. Tutti questi elementi il film di Derrickson li inserisce perfettamente in una classica origin story di maturazione e scoperta di sé e del proprio compito nell’ordine delle cose. Che lui e il suo cosceneggiatore Cargill siano autori di horror è evidente dalla cupezza che - nonostante le battute e i momenti di alleggerimento - aleggia su tutto il film.

Gli esseri umani in questa guerra dei mondi non sono contemplati (a meno che non siano stregoni o mutati dal male come il Kaecilius di Mads Mikkelsen), ma piuttosto ignari o marginali, come l’ex fiamma di Strange (Rachel McAdams) o il collega interpretato da Michael Stuhlbarg. L’idea - contestata dai puristi - di trasformare l’Antico in una donna – per altro molto androgina – appare invece sensata proprio per l’ambiguità di Tilda Swinton, essere senza età né sesso. Visivamente il film è impressionante e in 3D l'effetto è vertiginoso e stordente: belli soprattutto i mondi rotanti e i palazzi che si piegano su se stessi, paragonati da alcuni ad Inception e che a noi hanno ricordato invece le impossibili geometrie di Escher, il cubo di Rubik e la scatola dei Cenobiti di Hellraiser.

A conti fatti, Doctor Strange è un gran bel film, molto divertente e arricchito da interpreti perfetti come Cumberbatch, Ejiofor e Wong. Se gli manca qualcosa per arrivare all’eccellenza è un maggiore spessore del cattivo di Mikkelsen e un po' più di spazio per gli agli altri personaggi umani. Ma la Cappa della levitazione, l’Occhio di Agamotto e i due finali in mezzo e dopo i titoli di coda (lo ripetiamo: non uscite prima dal cinema come certi scriteriati colleghi!), compensano le mancanze. Benvenuto dunque al Doctor Strange, che ci riporta a un tempo in cui la magia era una scienza troppo seria e da grandi per essere insegnata ad Hogwarts.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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