Dilili a Parigi: la fiaba animata di Michel Ocelot nella Belle Époque
All'autore francese si perdona il didascalismo perché appare una scelta, non un limite.
La piccola Dilili, bambina canaca, si esibisce a Parigi durante l'Esposizione Universale, in piena Belle Époque. Qui fa amicizia con Orel, un garzone delle consegne veloce di pedale, e insieme decidono di fare luce su una misteriosa associazione criminale che rapisce le bambine di Parigi. Nella loro indagine saranno aiutati da celebrità dell'epoca: tra gli altri, la cantante Emma Calvé, Marcel Proust, l'attrice Sarah Bernhardt, Toulouse-Lautrec e la fisica Marie Curie.
C'è qualcosa di inimitabile e personale nello stile del regista e sceneggiatore Michel Ocelot, qui servito con perizia professionale dal team Mac Guff di Parigi, quel che rimane dopo lo scorporamento dell'Illumination Mac Guff, fondata invece dalla Universal per i suoi Minions e Cattivissimo Me. Dilili a Parigi, come il titolo suggerisce, è un film orgogliosamente europeo e francese, fiero di una tradizione culturale che si appella direttamente alla sua epoca di maggiore fermento sociale, scientifico, culturale e artistico. Bisogna ammettere che sulle prime il film può lasciare perplessi chi non si soffermi ad assimilarne ritmo e profondità di visione: c'è la tentazione di vedere una deriva del politicamente corretto nell'intraprendenza della piccola Dilili, "rivoluzionaria" di colore, impegnata in didascalici incontri con le citate celebrità simboliche, con forzature che potrebbero riportare alla mente lo spirito delle Avventure del giovane Indiana Jones (chi ricorda questa serie?).
La rivendicazione culturale di Ocelot richiede però altrettanta attenzione culturale per non essere liquidata ingiustamente. Dilili è canaca, cioè del territorio francese della Nuova Caledonia in Oceania, e al di là dello spettro colonialista, lamenta di aver perso un'identità ("francese per i Canachi, canaca per i Francesi"). Prova un sincero entusiasmo verso un atteggiamento inclusivo non per moda ma per ampiezza di visione, sincera e trascinante. Non è un caso se siamo nella Belle Époque, anticipando ogni accusa di derive radical chic: è l'epoca in cui le "elite" indicano con gioia nuove vie, di immediata comprensione anche a un garzone come Orel o all'interessante personaggio dell'ottuso (e quindi potenzialmente pericoloso) autista Lebeuf. Dilili diventa un faro di libertà cercando un'identità alternativa, prospettata da un pensiero vivace che cerca di andare oltre lo status quo, facendo avanzare la società perché convinto, non perché supponente. Ocelot, che aveva seguito le vicende del suo Kirikù in Africa, sposa la sua attenzione per l'esotico con una riflessione sull'oggi, avvicinando le culture "altre" con le nostre: sta effettivamente accadendo oggi come mai prima d'ora.
Preferiamo non svelare la motivazione dei rapitori, però è un ulteriore tassello di un affresco assai complesso e stratificato, nel quale si suggerisce non solo che il mondo attuale è alle prese con problemi antichi mai risolti, ma si coglie pure l'occasione di ricordarci che abbiamo nel nostro DNA storico gli anticorpi per difenderci dalle derive più pericolose e migliorare costantemente. Forse Dilili a Parigi risulterà troppo complesso da seguire per i più piccoli, nonostante Ocelot si sforzi in sceneggiatura di mantenersi su toni fiabeschi e una distinzione buoni / cattivi netta (ma ripetiamo: attenti al personaggio di LeBeuf).
Chi ama il buon cinema però non dovrebbe passare, resistendo magari a un ritmo in crescendo che sulle prime fatica un po' a ingranare: esteticamente il film cerca una bidimensionalità luminosa cara al regista, con modelli in CGI dei personaggi senza ombre (l'eco di Toulouse Lautrec si sente nella linea del regista). Ocelot li staglia spesso su foto della città eseguite da lui e ritoccate. Nell'attesa che Hollywood segua l'esempio sperimentale di Spider-Man Un nuovo universo, un'opera come Dilili a Parigi ci ricorda che una diversità di visione è la norma nelle tradizioni animate del resto del mondo.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"