Cinquanta sfumature di nero: la recensione del film

09 febbraio 2017
2.5 di 5
30

Fedele al libro di partenza, il secondo film dai libri di E.L. James ha meno mordente del suo predecessore e racconta un'inversione di ruoli.

Cinquanta sfumature di nero: la recensione del film

Donna con le palle l’Anastasia Steele che aveva defenestrato lo scapolo d'oro Christian Grey alla fine di Cinquanta sfumature di grigio, dopo averlo liquidato come pazzo furioso ed aver chiuso bruscamente, seppure a malincuore, le porte dell’ascensore.

E donna con le palle anche la Miss “non morderti il labbro, per favore” del sequel, che, “rinegoziando” i termini della piccante relazione, dichiara con fermezza: “Stavolta niente regole, niente punizioni e nessun segreto ”. Assodato che una simile temporanea supremazia della parte femminile della coppia non dispiace, di questa battuta che è la frase di punta del trailer (e quindi adesso non gridate allo spoiler!) ci interessa più di tutto il suo essere il fulcro del nuovo film, l’imperativo categorico agitato come una bandiera dalla dura e pura E.L. James dinanzi allo sceneggiatore Niall Leonard e al quieto James Foley.

Chiamati a non tradire per nessuna ragione al mondo il romanzo di partenza, evitando così lo scempio commesso da quella Sam Taylor-Johnson che invece (secondo noi) aveva sveltito, movimentato e impreziosito con tocchi di umorismo arguto un libro noioso perfino per i passeggeri di un volo intercontinentale, i due si saranno trovati probabilmente in difficoltà, perché senza frustini, linguaggio sadomaso e con una drastica riduzione di bende e manette, rendere intrigante e avvincente il film numero due era un’impresa donchisciottesca. Ma a infondere coraggio al regista di Americani e di diversi episodi di House of Cards (ben diversa la posizione di Leonard, marito della scrittrice) c’erano i 571 milioni di dollari di incasso del primo film e l'amore incondizionato dei cultori del libro. E così eccolo pescare, fra i costumi di un ballo in maschera da cui ci aspettavamo kubrickiane reminiscenze, un vestito da bravo esecutore.

Ma il problema di Cinquanta sfumature di nero non è la cattiva regia. In fondo Foley dirige bene Dakota Johnson e Jamie Dornan, non sbaglia le inquadrature né impoverisce la messa in scena o sfrutta malamente il cospicuo budget a disposizione, piuttosto non arricchisce mai il film con il suo personalissimo tocco, né insiste per esempio con il kitsch e con la trasgressione. Trasgressivo, anzi, nelle sue patinate sequenze di soft-porn, Fifty Shades Darker non lo è affatto (si va raramente nella stanza rossa), e non è neanche più cupo del suo predecessore (come suggerirebbe il titolo), perché la minaccia, rappresentata dalla Mrs. Robinson che ha iniziato al sesso estremo un Grey adolescente e da una sottomessa in preda a un esaurimento nervoso, fa appena capolino, senza contare che queste due  figure femminili sono risibili pesci fuor d'acqua, con Kim Basinger che non riesce a portarsi dietro l’eredità di 9 Settimane e 1/2 e ha la sfortuna di parlare come in una telenovela, e Bella Heathcote "derelitta" e quasi stracciona quasi fosse una creatura dickensiana o uscita da "I miserabili" o "L'opera da tre soldi". E sebbene entrambi i personaggi - funzionali alla trilogia - siano l’incarnazione dei pericoli che affliggono una relazione sentimentale che sta crescendo, il loro destino è di venire travolti e schiacciati da una valanga di vaniglia, quella vaniglia poco appetitosa che, secondo Ana, dovrebbe essere uno dei sapori del suo rapporto riveduto e corretto con Christian e che lei stessa sceglie come gusto di gelato da comprare al supermercato.

Ana, o meglio Anastasia: è lei, insieme al fisico muscoloso di Jamie Dornan, l'elemento vitale di Cinquanta sfumature di nero, come già detto in apertura. Non più verginella sprovveduta, la protagonista femminile della storia trasuda determinazione e sacrosanto desiderio di autonomia, e anche il sesso è raccontato dal suo punto di vista, o meglio dal punto di vista del suo piacere. I ruoli si invertono, insomma, solo che il bel Grey è troppo cucciolo smarrito, troppo remissivo e seriamente bisognoso di uno psichiatra che vada a scavare nella sua infanzia interrotta per essere credibile al 100%. E maschio.

Inno alla lingerie femminile (semplicemente meravigliosa, a potersela permettere), il capitolo intermedio della pruginosa saga è meno sensuale del primo, che già era poco carnale e sanguigno nella rappresentazione dei momenti di intimità. Colpa di una "chimica" già abbondantemente esplorata? O di un numero limitato di situazioni da poter filmare senza sconfinare nel genere a luci rosse? Chissà... Se non altro, i due amanti si divertono con oggetti e oggettini che non necessariamente provocano dolore, e di tanto in tanto addirittura ridono. E noi con loro.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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