Chi è senza colpa: la recensione del thriller con Tom Hardy e James Gandolfini

28 novembre 2014
3.5 di 5
81

Un coinvolgente racconto sullo sfondo di una Brooklyn notturna.

Chi è senza colpa: la recensione del thriller con Tom Hardy e James Gandolfini

“Sono solo un barista”. Una frase che ripete in continuazione Bob alias Tom Hardy nel noir Chi è senza colpa. Una frase che continuamente accompagna il viaggio appassionante di un film in cui tutti si ostinano a indossare una maschera e a raccontare un mucchio di bugie. Nessuno è quello che sembra, neanche il bar intorno a cui ruotano le vicende di questo adattamento di un racconto di Dennis Lehane scritto da lui stesso.

Nel film, ma non nel libro, abbandona le ben conosciute periferie di Boston per Brooklyn. Un quartiere crocevia di immigrazioni da secoli che è un vero protagonista insieme a Bob e al cugino Marv (ultima interpretazion di James Gandolfini) che gestiscono il Cousin Marv’s Bar, anche se sono solo dei dipendenti della mafia cecena, che controlla questo come tanti altri bar della città. Una volta ogni tanto un locale viene scelto per custodire per una notte gli incassi di tutti gli altri locali gestiti dalla criminalità. Il titolo originale, The Drop, rimanda proprio al breve tragitto di tante buste piene di soldi contanti che finiscono in un doppio fondo sotto il bancone.

Bob ha il cuore d’oro, lo scopriamo subito, quando offre un giro a dei clienti abituali che ricordano l’anniversario della morte di uno di loro. Non ce la fa proprio a cacciare una vecchina che fa credito ormai da troppo tempo. Il cugino è più deciso, come tanti sembra una figura che si muove per istinto, spinta dall’ambiente che lo circonda, da regole del gioco consolidate. Ma qualcosa sotto traccia sta cambiando: Bob è un cattolico che va sempre a messa, ma non prende mai la comunione, mentre un cucciolo di cane ritrovato di notte nel cassonetto della modesta casa di Nadia sposterà l'asse di rotazione del quartiere e dei suoi abitanti.

Chi è senza colpa è un film che si muove piano, un sommovimento costante e sempre più inquietante, una goccia dopo l’altra, fino a concentrare la sua energia in un finale di grande intensità. Il delizioso Rocco, curioso nome del cane, sembra messo lì come sorta di McGuffin o cupido per far conoscere Bob e Nadia, ma diventerà il motore delle esplosioni emotive dei personaggi coinvolti. Lì spingerà a prendere in mano il loro destino, senza indugi e troppi sensi di colpa.

Roskam è il regista belga nominato all’Oscar per l’ottimo Bullhead, che con questo film si conferma un talento da seguire con attenzione. Dalla sua opera prima si è portato il suo pupillo, un attore che adoriamo come Matthias Schoenaerts, che dopo Bullhead è stato convincente in Un sapore di ruggine e ossa di Audiard e ora è un criminale di basso livello e quoziente intellettivo in Chi è senza colpa. Due film in cui recita in una lingua non sua risultando molto credibile.

Se parliamo di interpreti dobbiamo dire, a costo di essere ridondanti, che Tom Hardy si conferma fra i più interessanti e versatili talenti degli ultimi tempi, mentre sapere che James Gandolfini non ci farà più compagnia fa male al cuore.




  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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